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domenica 31 dicembre 2006

Civiltà superiore


dal Blog di Beppe Grillo

"Saddam

cappio.jpg

Uccidere un assassino è un assassinio? La punizione per un delitto può essere applicata con lo stesso delitto? Lo stupro con lo stupro, il furto con il furto, la morte con la morte? Condannare l’omicidio e poi applicarlo per legge è un incantesimo. Una contraddizione della mente umana. E’ vendetta, non legge. Saddam è stato impiccato. Condannato dagli iracheni. Ma non ci crede nessuno. Le mani del boia erano irachene, ma il cappio era di Bush.

Saddam andava condannato all’ergastolo. Doveva invecchiare in carcere. Perdere la sua spocchia. Con l’esecuzione gli è stata regalata una dignità che non aveva. Una grandezza made in Texas.
In morte di Saddam, ora martire, bisognerebbe ricordarsi della guerra con l’Iran finanziata dagli Usa. Del buon Saddam alleato dell’Occidente contro Khomeini. Del Saddam laico e filo occidentale. Poi si è messo in proprio e questo è stato un affronto intollerabile per la democrazia americana. Quella dei due milioni di carcerati e dei bracci della morte. E del controllo del Golfo Persico.

Se Saddam era un criminale, allora lo sono alcuni capi di Stato che siedono all’Onu. Perchè Saddam sì e loro no? Il petrolio. Il mondo intero ha dichiarato la prima guerra all’Iraq a causa dell’invasione del Kuwait e dei suoi pozzi di petrolio. Nel Darfur sono morte centinaia di migliaia di persone. Nessuno ha mosso un dito. In Cecenia non sono rimasti in piedi neppure i palazzi. Nessuno ha mosso un dito. L’ipocrisia della condanna a morte giusta, occidentale e petrolifera.

Saddam è stato un criminale? Ha sterminato i curdi con il gas? Ucciso i suoi oppositori? Sì, certo. Ma quando sarà finita la guerra in Iraq si potrà fare una contabilità dei morti. E saranno molti, molti di più di quelli attribuiti al regime di Saddam. Qualcuno sarà appeso a una corda per i quarantamortialgiornochenonfannopiùnotizia? Sarà condannato a pagare una multa, un’ammenda, dovrà chiedere scusa? Saddam ha pagato, con dignità, il suo conto. Hiroshima, i Gulag e il Tibet non li pagherà mai nessuno."


Nonostante tutto Happy New Year!

venerdì 22 dicembre 2006

Senza titolo


Te ne vai.
L'occhio vitreo, fisso.
Non mi riconosci.
La voce impastata, barba lunga, te ne vai.
Ti accommiati dal mondo in silenzio, straparlando un po'.
Ti guardo le spalle, i bicipiti, il petto e le cosce, un dì vigorosi.
Avevo paura di te, tutti ne avevamo. Ora fai pena, pietas cristiana.
E te ne vai poco a poco, e saresti mio padre.
Ma per me non lo sei.
Solo un povero corpo, un essere umano, un relitto che merita rispetto. Un concittadino come gli altri. Eppure, quante domande avrei avuto da farti, quante risposte avresti potuto darmi con quella bocca oramai muta, quanti sguardi d'affeto non ci siamo scambiati, con quegli occhi cerulei che ormai non vedono più.
Eppure non riesco a trattenermi, e ti stringo le mani.
E te ne vai.
Te ne vai.
E cambia anche la mia vita, mentre te ne vai.

mercoledì 20 dicembre 2006

Civiltà


NESSUNO TOCCHI ABELE

Sette anni fa, in Libia, ci fu un’epidemia di aids tra i bimbi ricoverati in un’ospedale.
L’aids, latente tra la popolazione, già c’era da tempo, ma il regime lo negava.
L’aids, latente da tempo, esplose perché ("taglio dei costi") iniziarono, in quell’ospedale come (immagino) in altri, a riutilizzare siringhe ed aghi.
Cinque infermiere straniere (bulgare), e un infermiere maschio, furono accusati, presi come capri espiatori dal regime.
Sono stati condannati a morte ieri.


Gheddafi ora vorrebbe fare marcia indietro, ma l’opinione pubblica libica, gonfiata da anni di propaganda, è oramai decisa e chiede le teste di queste sei persone, assolutamente innocenti, che da sette anni vengono fatte languire nelle galere del regime e torturate.
E sotto tortura – si sa – uno riesce a far ammettere a Bush di essere comunista…
Tutto il mio sdegno, tutta la mia protesta, tutto il mio appello agli spiriti liberi di destra e di sinistra, mobilitiamoci, facciamo qualche cosa.


Non tutto è perduto, c’è ancora l’ultimo processo d’appello.
Qui non possiamo nemmeno dire "nessuno tocchi Caino".
Qui bisogna urlare "nessuno tocchi Abele".

domenica 17 dicembre 2006



Welby condannato a vivere ancora


Il giudice non autorizza a staccare la spina
Piergiorgio Welby ha il diritto di chiedere l’interruzione della respirazione assistita, ma si tratta di un diritto non tutelato dall’ordinamento giuridico, dipende dalla sensibilità del medico. E’ la posizione del giudice del tribunale di Roma Angela Salvio ed è un rifiuto senza mezzi termini del ricorso presentato quasi un mese fa dagli avvocati di Welby, malato di distrofia muscolare nella fase terminale che ha chiesto la sospensione della terapia e una morte senza sofferenze. Welby può impugnare la decisione. «Non ha ancora deciso, ci sono quindici giorni di tempo», spiega l’avvocato Vittorio Angiolini. Difficile prevedere quel che deciderà, ieri ad un amico che paragonava il giudice a Ponzio Pilato, rispondeva: «Ne è piena l’Italia». E’ Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni, a parlare del futuro: «Il prossimo passo è discutere e operare insieme a Piergiorgio e sua moglie Mina per trovare le modalità su tutti gli aspetti necessari a compiere la volontà di Piergiorgio». E la moglie del malato è d’accordo: spetta a lui decidere.
Il giudice lancia un richiamo chiaro al Parlamento, chiede «un’iniziativa politica e legislativa per colmare il vuoto normativo in materia». L’elenco di queste carenze è lungo. Il divieto di accanimento terapeutico «esiste, è un principio «solidamente basato su principi costituzionali di tutela della dignità della persona (art. 2 e 32)», ma «sul piano dell’attuazione pratica del corrispondente diritto del paziente ad esigere e a pretendere che sia cessata una determinata attività medica di mantenimento in vita, lascia il posto alla interpretazione soggettiva e alla discrezionalità e non è regolata dal diritto».
La sentenza del giudice è contenuta in un provvedimento di 11 pagine depositato ieri al Tribunale di Roma. Si parla del «principio di autodeterminazione e del consenso informato», uno dei pilastri su cui si basa la richiesta di Welby. Il giudice lo definisce una grande conquista civile, ma «manca dei decreti attuativi». Dunque pone molti problemi pratici. «Nel corso degli anni - scrive il magistrato - è profondamente mutato il modo di intendere il rapporto medico-paziente, e il segno di questa trasformazione è nella rilevanza assunta dal consenso informato, che ha spostato il potere di decisione del medico al paziente». E poi c’è il concetto di accanimento terapeutico, i cui confini nell’ambito dell’ordinamento, sono «incerti ed evanescenti e manca una definizione condivisa ed accettata». «Manca inoltre - continua il giudice Salvio - la definizione di quando l’insistere con trattamenti di sostegno vitale sia prassi ingiustificata o sproporzionata». E soprattutto la sentenza ricorda che «non esistono linee guida di natura tecnica ed empirica di orientamento del comportamento dei medici». Parole che hanno soddisfatto i medici. Questa sentenza è solo una conferma di quanto andavano ripetendo nei giorni scorsi sulla «incertezza delle legge e le difficoltà, non solo etiche, dei medici», spiega Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici. Divisi i costituzionalisti. Michele Ainis: «È prevalsa la logica dello scaricabarile: la politica ha rimbalzato sui giudici che a loro volta hanno lasciato i medici con il cerino in mano». E a Welby suggerisce la strada dell’«obiezione di coscienza: staccare la spina sarebbe giustificabile di fronte a un tale vuoto». Ipotesi che un altro costituzionalista, Cesare Mirabelli, rifiuta: «Obiettare significa sottrarsi a un comportamento doveroso, ma in questo caso un obbligo nell’ordinamento non esiste».

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Non solo Ponzio Pilato, ma incapaci di prendere una decisione. Manca il coraggio di dare un precedente.
Probabilmente c'è la speranza che si risolva per l'intervento del destino e non di una decisione umana.
Sabry


(Pubblicato dalla coblogger Sabry65)

martedì 12 dicembre 2006

Civiltà


Per una volta, riassumo da "La Repubblica", perché la politica non c'entra, c'entrano le coscienze.
IL DRAMMA DI WELBY/2

E’ il Catechismo della Chiesa Cattolica (art. 2278) a dire che "L’interruzione di procedure mediche onerose, straordinarie o sproporzionate ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire", e ancora che (art. 2279):
"L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista come tollerata e quindi inevitabile."
L’art. 14 del codice deontologico del medico: "Egli deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti da cui non ci si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita"
L’art. 37 dello stesso codice recita "In caso di malattia o prognosi sicuramente infausta o pervenuta alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale. Fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita."
Il genetista Bruno Dallapiccola: "A nessun medico si può chiedere di iniettare in vena una sostanza che uccida, ma è altrettanto vero che i medici non devono tirarsi indietro di fronte al dramma dei malati terminali. (…) Né eutanasia, né accanimento."
Il giurista Stefano Canestrari: "Mentre l’eutanasia attiva, anche con il consenso del paziente, è sanzionata pesantemente dal codice penale, il rifiuto delle cure, anche di quelle salvavita, è un diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione."
Laura Palazzani, giurista cattolica: secondo lei la richiesta di Welby "non è un atto eutanasico, nemmeno all’atto della sedazione terminale."
Il bioeticista Demetrio Neri: "Molti medici obiettano che di fronte a un paziente in fin di vita l’obbligo è quello di rianimarlo. Non è così. Se il paziente, lucidamente, aveva chiesto di mettere fine alle cure, sempre per l’art. 34 (del codice deontologico dei medici, che prevede che si possa interrompere l’accanimento terapeutico, ndr), il medico deve tener conto della volontà espressa dal malato prima dello stato di incoscienza."
Cinzia Caporale, Vicepresidente del Comitato di Bioetica: "Premesso che è un imperativo morale assecondare il desiderio di un paziente nelle condizioni di Welby, è vero però che dopo aver staccato la spina il medico, accanto al malato che muore, si trova in una posizione non tutelata oggi da nessuna norma."
Il giurista Lorenzo D’Avack denuncia una "totale assenza di norme che tutelino il medico, e l’uso improprio del termine eutanasia, mentre Welby è la prova di un conclamato accanimento terapeutico."
Il professor Umani Ronchi, anatomopatologo, ricordando il discorso che papa Pio XII fece nel 1957 ai medici rianimatori, afferma che "imporre un trattamento non voluto è sempre e comunque una violenza".
Ora mi chiedo e vi chiedo: se la vita non ci appartiene, se appartiene a Dio, se non abbiamo il diritto di interromperla, abbiamo il diritto di prolungarla contro natura?

lunedì 11 dicembre 2006

Civiltà


IL DRAMMA DI WELBY: ETICA O MANCANZA DI PIETA'?

Si arrampicano sui sofismi.
Come quando mi dicono: "ma smettila, nemmeno tu avresti mai il coraggio di staccare la spina."
E con questo intendono che "inconsciamente" pure io condanno l'eutanasia.

Grazie tante, se è per questo non avrei nemmeno il coraggio necessario per aprire la gola di qualcuno con il coltello da caccia e infilarci una cannuccia per farlo respirare e salvargli la vita, come si vede nei film; ciò dimostra forse che sono contro chi lo fa?

A parte questo e tornando a Welby, mi chiedo e vi chiedo:e la pietà, la carità cristiana? Mi viene in mente un verso di De Andrè: "Lo sanno a memoria il diritto divino, e scordano sempre il perdono"...
Ecco il testo della lettera di Welby dalla sua "prigione infame"
"Addio: voglio bene anche a chi mi tortura per i suoi valori". Così scrive in una lettera inviata al direttore del Tg 3 Piergiorgio Welby. "Signor Direttore, come già Luca Coscioni, a mio turno sono oggi oggetto di offese e insulti, di pensieri, parole, aggressioni alla mia identità ed alla mia immagine, quasi non bastassero quelle perpetrate al corpo che fu mio e che, invece, vorrei, per un attimo almeno, mi fosse reso come forma, qual è il corpo, necessaria del mio spirito, del mio pensiero, della mia vita, della mia morte; in una parola del mio 'essere". "Sono accusato, insomma - prosegue Welby - di 'strumentalizzare' io stesso, la mia condizione per muovere a
compassione, per mendicare o estorcere in tal modo, slealmente, quel che proponiamo e perseguiamo con i miei compagni Radicali e della Associazione Luca Coscioni, così infamandoci come meri oggetti o come soggetti plagiati. Strumenti? Sono, invece, limpidi obiettivi ideali, umani, civili, politici".
"Dalla mia prigione infame - scrive Welby - da questo corpo che, nel nome dell'etica s'intende, mi sequestrano, mi tornano alla memoria le lettere inviate alla politica da un suo illustre, altro, 'prigioniero': Aldo Moro. Pagine nobili e tragiche contro gli uomini di un potere che aveva deciso di condannarlo (anche lui per etica, naturalmente) a morte certa, anche lui ad una forma di tortura di Stato, feroce ed ottusa. Quelle pagine non potrei farle mie. Anche perché furono perfette, e lo restano".
"Un pensiero, ancora, un interrogativo, un dubbio - conclude Welby - dove sono mai finiti per tanti 'credenti' Corpo mistico e Comunione dei Santi? Comunque Addio, Signori che fate della tortura infinita il mezzo, lo strumento obbligato di realizzazione o di difesa dei vostri valori! Chi siano (e in che modo) i morti o i vivi che rimarranno tali quando saremo tutti passati, non sappiamo, né noi né voi. Io auguro a voi ogni bene.
Spero davvero (ma temo fortemente che così non sia), spero davvero che questo augurio vi raggiunga, si realizzi, perché questo 'voi' oggi manca anche a me, anche a noi altri". La dolorosa vicenda di Piergiorgio Welby continua tenere alta l'attenzione della società civile e del mondo politico e alcuni appuntamenti della prossima settimana potrebbe aprire nuovi scenari, legati in particolare all'udienza fissata dal Tribunale civile di Roma, dalla riunione del comitato di presidenza del Consiglio superiore di sanità e da ulteriori iniziative dell'Associazioni Coscioni. Nell'udienza fissata dalla Prima sezione civile si discuterà sul ricorso presentato da Piergiorgio Welby per ottenere l'interruzione dell'accanimento terapeutico attraverso il distacco del respiratore artificiale sotto sedazione terminale. Il giorno seguente si dovrebbe riunire il comitato di presidenza del Consiglio Superiore di Sanità, presieduto dal professor Franco Cuccurullo, che nei giorni scorsi era stato investito della vicenda dal ministro della salute Livia Turco. La questione alla quale dovranno rispondere gli esperti è la seguente: nel caso del signor Piero Welby i trattamenti sanitari ai quali è attualmente sottoposto sono inquadrabili o no nell'ambito di forme di accanimento terapeutico ? Ma i tempi per una decisione non saranno necessariamente brevi, anzi per la complessità della vicenda, potrebbero richiedere diversi giorni di lavoro. La procedura prevede, infatti, che il comitato di presidenza del Css esamini la questione e poi la assegni ad una delle cinque commissioni per una istruttoria. Si tratta di approfondire gli aspetti strettamente medici, giuridici, etici per poter dire se nel caso si ravvisano terapie sproporzionate, cioè accanimento. Ma è possibile che vista la delicatezza e l'importanza della situazione sia chiamato a pronunciarsi tutto il Consiglio riunito in
assemblea (51 esponenti). E così anche la decisione del Tribunale potrebbe essere rinviata per analoghi approfondimenti. Ma l'associazione Coscioni, che oggi ha
sospeso lo sciopero della fame su richiesta dello stesso Welby, mentre attende una decisione dei giudici conferma la ferma intenzione di aiutarlo a interrompere l'accanimento, anche "assumendosi la responsabilità di disobbedire a un'interpretazione anticostituzionale e disumana delle leggi esistenti, appena ci sarà da lui richiesto". A 78 giorni dalla lettera al Presidente della Repubblica, nella quale chiedeva di "ottenere l'esercizio del diritto naturale civile politico personale ad una morte naturale", Welby lancia un nuovo appello per la sua condizione.


L'Olanda e l'eutanasia a cura di

Eutanasia
Siete favorevoli ?
SI
NO

Current Results
Alcuni articoli sull'eutanasiaFrancesco Addante
Ministro italiano contro l'eutanasia olandese, è giusto criticare un Paese straniero ?
Il Sole 24 ore

giovedì 7 dicembre 2006


La decisione della Giunta del Senato
Elezioni, schede bianche e nulle da ricontare
Si procederà al riesame in 7 regioni: Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia e Toscana
Roma, 6 dic. (Adnkronos) - La giunta per le elezioni del Senato ha deciso di dare il via al riconteggio delle schede nulle e bianche a partire da 7 regioni: Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia e Toscana. Si procederà, inoltre, alla revisione a campione delle schede valide custodite nei tribunali competenti. La decisione della giunta e' stata presa quasi all'unanimita' con la sola astensione del senatore dei Verdi Natale Ripamonti.

La delibera varata della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari è la sintesi di due precedenti delibere presentate dal senatore della maggioranza Antonio Boccia dell'Ulivo, e da una presentata dal senatore di Forza Italia Lucio Malan.

La delibera reca la firma di quasi tutti i capigruppo di maggioranza e di opposizione. In particolare, essa prevede di ''procedere alla revisione totale delle schede nulle, bianche e contenenti voti nulli o contestati, custodite in Senato a partite dalle seguenti regioni: Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana''. Per le stesse ragioni -recita la delibera- procedere alla revisione delle schede valide, custodite nei tribunali competenti, secondo una campionatura che sarà decisa dai Comitati di revisione schede sulla base dei seguenti criteri: 1) l'assenza del verbale o la notevole discrasia tra i dati dichiarati sul verbale sezionale e quelli verificati con la revisione'' relative alle schede bianche e nulle; 2) l'assenza di schede nulle e contestate; 3) la presenza di rappresentanti di lista appartenenti ad una sola coalizione o l'assenza nel seggio di rappresentanti di lista per ambedue le coalizioni. Nel caso i risultati della revisione totale delle schede nulle e bianche o della revisione del campione delle schede valide ''rivelino scostamenti significativi rispetto ai dati di proclamazione'', per la Giunta occorrerà ''estendere la procedura di revisione delle schede anche alle altre regioni ed alla circoscrizione Estero''.

Nella prossima riunione della Giunta il presidente procederà alla nomina dei comitati di revisione per ciascuna delle regioni interessati, che saranno composti da un relatore più altri due componenti, un esponente della maggioranza e uno dell'opposizione. Si calcola che, per quanto riguarda le schede nulle o bianche delle 7 regioni interessate, dovranno verificare all'incirca 700 mila schede (300 mila bianche e circa 400 mila nulle).

Per Malan, per ora non è possibile preventivare quanto tempo ci vorrà per il riconteggio. ''Devo dare atto -ha detto Malan- della correttezza della maggioranza''. Per il senatore di Forza Italia l'accordo bipartisan è stato possibile anche grazie ''alla spinta della manifestazione del 2 dicembre che ha avuto il suo peso''. Quanto alle regioni interessate, la Campagna e il Lazio sarebbero state scelte per lo stretto margine di variazione registrato dai due schieramenti, mentre la Calabria avrebbe presentato nell'ultima tornata elettorale un forte calo delle schede bianche.

da adnkronos.com

(Pubblicato dal coblogger Condorbianco)

lunedì 4 dicembre 2006

Deontologia dell'informazione


DALLA PRESENTAZIONE DELL'ULTIMO LIBRO DI TRAVAGLIO ("LA SCOMPARSA DEI FATTI")

Citazione testuale:
«I fatti separati dalle opinioni.» Era il motto del mitico Panorama di Lamberto Sechi, inventore di grandi giornali e grandi giornalisti.
Poi, col tempo, quel motto è caduto in prescrizione, soppiantato da un altro decisamente più pratico: «Niente fatti, solo opinioni». I primi non devono disturbare le seconde. Senza fatti, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Con i fatti, no.
C’è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi.
C’è chi nasconde i fatti perché trovare le notizie costa fatica e si rischia persino di sudare.
C’è chi nasconde i fatti perché non vuole rogne e tira a campare galleggiando, barcamenandosi, slalomando.
C’è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell’editore stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione.
C’è chi nasconde i fatti perché si sente embedded, fa il tifo per un partito o una coalizione, non vuole disturbare il manovratore.
C’è chi nasconde i fatti perché se no lo attaccano e lui vuole vivere in pace.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, dove s’incontrano sempre leader di destra e leader di sinistra, controllori e controllati, guardie e ladri, puttane e cardinali, prìncipi e rivoluzionari, fascisti ed ex lottatori continui, dove tutti sono amici di tutti ed è meglio non scontentare nessuno.
C’è chi nasconde i fatti perché confonde l’equidistanza con l’equivicinanza.
C’è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale.
C’è chi nasconde i fatti perché l’editore preferisce così.
C’è chi nasconde i fatti perché aspetta la promozione.
C’è chi nasconde i fatti perché fra poco ci sono le elezioni.
C’è chi nasconde i fatti perché quelli che li raccontano se la passano male.
C’è chi nasconde i fatti perché certe cose non si possono dire.
C’è chi nasconde i fatti perché «hai visto che fine han fatto Biagi e Santoro».
C’è chi nasconde i fatti perché è politicamente scorretto affondare le mani nella melma, si rischia di spettinarsi e di guastarsi l’abbronzatura, molto meglio attenersi al politically correct.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti diventa inaffidabile e incontrollabile e non lo invitano più in televisione.
C’è chi nasconde i fatti perché fa più fine così: si passa per anticonformisti, si viene citati, si crea il «dibbattito».
C’è chi nasconde i fatti anche a se stesso, perché ha paura di dover cambiare opinione.
C’è chi nasconde i fatti per solidarietà con Giuliano Ferrara, che è molto intelligente e magari poi si sente solo.
C’è chi nasconde i fatti perché i servizi segreti lo pagano apposta.
C’è chi nasconde i fatti anche se non lo pagano, ma magari un giorno pagheranno anche lui.
C’è chi nasconde i fatti perché il coraggio uno non se lo può dare.
C’è chi nasconde i fatti perché nessuno gliel’ha ancora chiesto, ma magari, prima o poi, qualcuno glielo chiede.
C’è chi nasconde i fatti perché così poi qualcuno lo ringrazia.
C’è chi nasconde i fatti perché spesso sono tristi, spiacevoli, urticanti, e non bisogna spaventare troppo la gente che vuole ridere e divertirsi.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi tolgono la pubblicità al giornale.
C’è chi nasconde i fatti perché se no poi non lo candida più nessuno.
C’è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la Rai o con la Regione o con il Comune o con la Provincia o con la Camera di commercio o con l’Unione industriali o col sindacato o con la banca dietro l’angolo.
C’è chi nasconde i fatti perché deve tutto a quella persona e non vuole deluderla.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti è più difficile voltare gabbana quando gira il vento.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi la gente capisce tutto.
C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, «c’è gente che pagherebbe per vendersi».

Poi c'è chi li nasconde perché mentre li sta cercando glieli pubblicano gli altri.
Ma per il resto, sono d'accordo.

lunedì 27 novembre 2006

Brogli e sospetti


Ho guardato con attenzione il DVD che è al centro delle polemiche di questi giorni
CONSIDERAZIONI GENERALI SUL FILM DI DEAGLIO

L'ho guardato, sissignori. E l’ho guardato non tanto per informarmi (avevo già letto "Il broglio", e sono in contatto con amici e amiche che si occupano lodevolmente della vicenda in termini seriamente documentali).
L’ho guardato per metterlo alla prova, scovarne eventuali debolezze.
Ne ho cavato alcune riflessioni.
  1. Girano per il Web personaggi incazzosi quanto mai, che strillano a ogni piè sospinto, anche verso di me, che "quando parlavamo di Telekom Serbia e della vendita di SME e delle porcherie perpetrate da Prodi & C., continuavate a ripeterci che per dire certe cose ci vogliono le prove; quindi adesso tocca a voi".
  2. Questi personaggi fingono (?) di non capire che il DVD di Deaglio non afferma delle conclusioni: elenca onestamente dei sospetti, suffragati da fatti, e Deaglio è il primo a dichiarare onestamente che le prove ancora non ci sono e che anzi serve urgentemente un’inchiesta proprio per far luce su strane cose realmente accadute.
  3. Costoro fingono di ignorare che non è Deaglio, né tanto meno Prodi, e in fondo nemmeno io e quelli che come me la pensano sulla vicenda, a dover far luce su di essa. Sarà la magistratura ad occuparsene, ma sarebbe stato preferibile se il ministro degli interni (non solo Pisanu, ma anche quello attuale) ci spiegassero in maniera convincente delle evidenti anomalie.
  4. Sia il caso Telekom Serbia sia la faccenda di SME sono già stati oggetto di inchieste anche giudiziarie, e Prodi & C. ne sono sempre usciti puliti; anzi nel caso Telekom a uscirne sporchi, semmai, sono coloro che l’hanno montato anche mediaticamente, essendo emerso in maniera manifesta che si reggevano su testimonianze false e su prove fabbricate ad arte e nemmeno tanto bene.
  5. Di conseguenza, dire a Deaglio e a chi ha gli stessi suoi dubbi "fuori le prove" è come dire a uno, che sporge denuncia contro ignoti perché si è trovato la casa svaligiata, "fuori il nome del ladro".
  6. Deaglio prima di avanzare sospetti ha cercato di vedere se effettivamente le sue ipotesi avrebbero potuto verificarsi. Non dice che si siano effettivamente verificate.
  7. Tutto questo lo dico e lo ripeterò fino alla nausea perché Deaglio chiede da cittadino, e con pieno diritto, di fugare (se si è nelle condizioni di poterlo fare) dei legittimi sospetti, basati su dati reali e su fatti effettivamente accaduti.
E adesso, buona visione.

giovedì 23 novembre 2006

Civiltà


Violenza sulle donne, 10 milioni di vittime. 500mila gli stupri
Sono 10 milioni le donne tra i 14 e i 59 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 900mila i ricatti sessuali che avvengono sul lavoro e 500mila gli stupri o i tentati stupri. Questi dati drammatici emergono dall'ultima indagine dell´Istat, in occasione della giornata parlamentare contro la violenza alle donne. Le molestie fisiche sessuali avvengono solitamente da parte di estranei (58,2%), per la strada (19%), sui mezzi di trasporto pubblico (31,6%), sul posto di lavoro (12,1%), in pub o in discoteca (10,5%). Invece gli stupri e i tentati stupri avvengono ad opera di familiari. Solo il 3,5% avviene per mano di estranei.
Più frequentemente si tratta di amici (23,8%), conoscenti (12,3%), fidanzati o ex fidanzati (17,4%), mariti o ex mariti (20,2%). I luoghi più a rischio sono i più familiari. Solo il 21% delle violenze sessuali avviene per strada e il 14% in auto. Per il resto si tratta di casa propria, di case di amici, di parenti o dell'aggressore. I ricatti sessuali sul lavoro sono 900mila all'assunzione o per fare carriera. Centomila donne hanno subito ambedue le violenze.
Sabbadini sottolinea che quando avviene la violenza sessuale, questa è spesso violenza ripetuta e le donne non se la sentono di denunciarla nel 90% dei casi, o perché hanno paura di essere giudicate male (28,6%), o per vergogna (22,1%) e mancanza di fiducia nelle forze dell'ordine (11,6%). «Un terzo delle donne non parla con nessuno dell'accaduto e ne ha parlato per la prima volta con noi».
Il governo da parte sua ha annunciato una nuova iniziativa legislativa per tutelare maggiormente il "sesso debole" a fronte di studi condotti in ambito comunitario che, come ha reso noto il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, dicono che in Europa la violenza subita rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età compresa tra i 16 e i 50 anni.
Il ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, ha annunciato entro 15 giorni la presentazione di una proposta di legge «contro la violenza alle donne che tuteli ancora di più le donne e sia un appoggio per coloro che volendosi liberare dalle persecuzioni e dalle molestie, possano trovare un punto di riferimento». La Pollastrini sottolinea che la nostra è «una società avanzata, eppure in Italia come in tutti i paesi europei, la violenza contro le donne e sulle donne continua, attraverso le molestie, anche gravi, le percosse, fino allo stupro e all'assassinio. Io credo - sostiene - che contro la violenza, la tolleranza debba essere zero».
Gli esponenti di maggioranza sollecitano un maggiore impegno e chiedono che si passi dalle parole ai fatti. Il vicecapogruppo dell'Ulivo alla Camera, Marina Sereni, osserva: «La cronaca quotidiana e i dati statistici confermano che la violenza contro le donne è lontana dall'essere sconfitta e che bisogna ancora fare molto a cominciare dall'educazione nella famiglia e poi nella scuola e nei luoghi di socializzazione. Ma per prevenire bisogna conoscere».
Il direttore centrale dell'Istat, Linda Laura Sabbadini ha ricordato l´esigenza di poter disporre di statistiche disaggregate per sesso per legge, senza doversi affidare alla sensibilità di chi dirige l'istituto di statistica o di chi siede ai ministeri preposti.
Sulla stessa posizione i Verdi. Paola Balducci, responsabile Giustizia del Sole che ride, plaude all'«ottimo discorso del presidente della Camera Bertinotti sulle donne, ma il rischio - sottolinea - è che di queste donne vittime di violenza psicologica e fisica nel lavoro e nella vita familiare, se ne parli tanto e spesso senza poi però passare ai fatti». «Dire che bisogna partire dalla scuola per sconfiggere la violenza contro le donne e contro i soggetti deboli in generale - aggiunge Balducci - significa anche che le istituzioni si devono far carico di questa verità attivando normative e strumenti concreti che vadano in questa direzione». Secondo la deputata Verde, tra l'altro, «nell'era di internet, una strategia delle politiche giovanili per prevenire la cultura della violenza deve essere legata a un uso corretto di questo strumento. Serve una guida per i bambini e i ragazzi che navigano quotidianamente e questa guida deve essere la scuola stessa intervenendo in questo senso sui programmi scolastici. Internet, se usato male - conclude - può essere una vera e propria giungla mediatica, e i giovani non devono rimanere soli in questo loro viaggio».
Linda Laura Sabbadini fa infine notare come a subire i ricatti sessuali sono «più le disoccupate che le occupate; più le impiegate che le operaie, perché le prime hanno più opportunità di carriera delle seconde e quindi sono più esposte al rischio; più le lavoratrici indipendenti che le dipendenti: l'ingresso diffuso di donne in settori tradizionalmente maschili è fenomeno recente ed è stato dirompente in un mondo così maschile come quello delle imprese. Quando le donne cercano di concludere un affare, effettuare una vendita, acquisire un cliente si creano i presupposti per i ricatti sessuali sulle donne».
l'Unità


(postato dalla coblogger Sabry65)

martedì 14 novembre 2006

imbrogli


da Tafanus leggo e pubblico quanto segue

Brogli elettorali: l'epilogo?


CORRIERE DELLA SERA

Deaglio e Cremagnani: In un documentario i «brogli» del Polo - Nel documentario il racconto di una lite Berlusconi-Pisanu
13 novembre 2006
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MILANO — Uccidete la democrazia!, il nuovo film di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con la regia di Ruben H. Oliva, non è questione di sindrome da complotto ma di numeri, numeri e ore. Gli autori lo dicono subito, prima che scorrano in anteprima le immagini e Gola Profonda inizi il suo racconto. La notte di lunedì 10 aprile 2006 è ormai sfumata nel martedì e l'Italia è in sospeso, il flusso dei dati elettorali s'è bloccato, «non si riesce a capire che sta succedendo» dice Romano Prodi, l'esito delle elezioni è più che mai in bilico e intanto a Palazzo Grazioli, quartier generale di Berlusconi, è arrivato Beppe Pisanu.

Mai successo che un ministro dell'Interno lasciasse il suo posto in un momento così. C'era già stato verso le 19,20. Per convocarlo, alle 23,14 gli telefonano al Viminale, «l'hanno costretto, letteralmente costretto ad andare».
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Berlusconi è furibondo, «gli grida in faccia, dice che lui non è disposto a perdere per una manciata di voti». Pisanu torna al Viminale e là ci sono quelli dell'Unione. Marco Minniti, Ds, è piombato in sala stampa agitatissimo, ha cercato i funzionari, ha fatto una telefonata. Poi si è rasserenato. Testimonianze. Immagini dei tg. E Gola Profonda che racconta: più tardi, a Palazzo Grazioli, ci sono quattro uomini chiusi in una stanza. Berlusconi, Bondi, Cicchitto e, ancora, Pisanu. Il Cavaliere non ci sta. E il clima si fa pesante, per il ministro.
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Volano insulti, «vigliacco», «traditore». Sono le 2.44 quando Piero Fassino annuncia alle telecamere: abbiamo vinto. A quanto pare dal film, il grande imbroglio informatico è sfumato in extremis, il programma che nel sistema di trasmissione dati del Viminale trasformava le schede bianche in voti per Forza Italia è stato fermato a ventiquattromila voti dal traguardo, l'esiguo vantaggio dell'Unione. E a questo punto le immagini rallentano, scrutano il volto segnato del segretario Ds, le occhiaie scure, lo sguardo cupo, mai vista una proclamazione così. In via del Plebiscito Berlusconi fa chiamare l'onorevole Ghedini, vuole preparare un decreto che dice farà approvare dal Consiglio dei ministri per sospendere il risultato elettorale fino a un nuovo conteggio e assicura che lo farà firmare a Ciampi.



Il dvd contiene i dati provincia per provincia.
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Numeri che il Viminale pubblica di solito «dopo 40 giorni» e fino ad oggi sono rimasti riservati. Perché? «Perché sono impresentabili, ecco perché». Al centro del «docu-thriller», il mistero delle schede bianche. Dalle Politiche 2001 a quelle 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono crollate: da 1.692.048 ad appena 445.497, 1.246.551 in meno. Maggiore partecipazione? Ma gli elettori, al netto dei votanti all'estero, sono stati di meno: 39.424.967 contro i 40.190.274 di cinque anni fa. E soprattutto ci sono le «anomalie» statistiche. L'Italia è varia, la percentuale di «bianche» nel 2001 cambiava ad ogni regione, 2,6 in Toscana, 9,9 in Calabria, 5,5 in Sardegna... L'animazione del film fa ruotare lo Stivale come in una centrifuga, nel 2006 i dati sono omologati, «tutto dall'1 al 2%, isole comprese!». Tutto più o meno uguale, e non un posto dove le bianche non siano calate.
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In Campania, per dire, si è passati da 294.291 bianche a 50.145, meno duecentocinquantamila, dall'8 all'1,4%. E poi c'è la successone degli eventi. Alle 15 il primo exit-poll dà all'Unione cinque punti di scarto, come tutti i sondaggi. Ma alle 15,45 Denis Verdini, responsabile dell'ufficio elettorale di Forza Italia, dice che «alla Camera è testa a testa, lo si vedrà dopo diverse proiezioni».
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E infatti: un'animazione mostra la «forbice» tra gli schieramenti che diminuisce «regolare come un diesel», ogni ora la Cdl guadagna mezzo punto e l'Unione lo perde. I primi dati del Viminale arrivano alle 20,19 e proseguono col contagocce. Alle 21,38 l'Ulivo invita a «presidiare i seggi», quando si bloccano i dati manda il segretario provinciale a Caserta. Inizia la lunga notte. Resta da scoprire l'arma del delitto. E Deaglio, nel film, vola in Florida a intervistare Clinton Curtis, programmatore informatico che nel 2001, inconsapevole, preparò un software per truccare le elezioni e poi ha denunciato tutto e ne ha fatto una battaglia. «Qualsiasi broglio le venga in mente, con la matematica si può fare».
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E al direttore di Diario, in mezz'ora, prepara un programma che distribuisce in automatico le bianche a uno schieramento lasciandone una percentuale tra l'1 il 2, «si può inserire nel computer centrale o a metà della rete, bastano quattro o cinque persone». Deaglio dice che le bianche mancanti e i voti in più di Forza Italia corrispondono: «Sono gli unici risultati sbagliati dagli exit-poll». Problema: se è vero, perché Berlusconi ha perso? La tesi del film è nella domanda che Deaglio fa a Curtis: è possibile interrompere il processo? «In ogni momento». Si torna alla notte di Palazzo Grazioli. Le pressioni su Pisanu. Il «colpo di teatro», l'arresto di Provenzano l'indomani. E l'«antropologia» dei democristiani, il loro fiuto infallibile. Gola Profonda conclude: «Quella sera il ministro ha fiutato. Ha capito subito che Berlusconi era un gatto che si agitava, ma era un gatto morto. E ha agito di conseguenza».
Gian Guido Vecchi





da Tafanus riportiamo quando segue

...come mai Pisanu, la notte dello spoglio, non è al Ministero, come vorrebbero logica e galateo istituzionale, ma  a casa di uno dei contendenti? ...come mai dopo la sconfitta per pochi voti Pisanu, che ogni giorno rilasciava non meno di 437 interviste ai TG, sparisce nel nulla per settimane? ...come mai non si trova niente di meno sospetto della società del figlio di Pisanu per far gestire il "conteggio elettronico" del voto?...

...aveva ragione il nostro Blog?...

...poche ore dopo la fine dello spoglio, il Tafanus aveva già messo in rete un dossier "Brogli Elettorali", ancora oggi scaricabile, aggiornato, che includela i grafici e le considerazioni integrate. Il nostro dossier era stato ripreso da moltissimi blogs, e integrato, nel tempo, da contributi di molti esperti di informatica. I conti non tornavano, e tornano sempre meno. Non torna, ad esempio, il fatto che la fregola polista di ricontare i voti sia svanita nel nulla, pur avendo la Casa delle Amenità maggioranza e Presidenza della Giunta per le Elezioni. Qualcosa non quadra. Ora attendiamo con impazienza l'uscita del DVD di Diario. Sicuramente Deaglio avrà condotto, come è suo costume, una inchiesta esemplare. Sarà un DVD da non perdere, per nessuna ragione al mondo.



Il grafico indica, con sufficiente approssimazione, la distribuzione dei voti ai due schieramenti a partire dai primi 6000 seggi scrutinati, per finire agli ultimi 6000. Nei primi 6000, lo spoglio dice: Unione 54%, CdL 45%; com'è possibile che SISTEMATICAMENTE, decile dopo decile, le percentuali dell'Unione peggiorino sempre, fino ad invertirsi, a partire da metà spoglio???

(Postato dal coblogger Condorbianco)

sabato 11 novembre 2006

Oggi mi sento contratto


da studenti.it

L'esercito dei lavoratori "low cost"

Siamo andati ad indagare nei meandri del lavoro precario, abbiamo chiesto ai giovani di raccontarci come vivono, che lavoro fanno, quali speranze e desideri hanno per il futuro. Hanno partecipato in tantissimi, inviandoci e-mail, rispondendo ai sondaggi, lasciando commenti sui forum. Abbiamo avuto l'ennesima conferma: il mondo del lavoro, così com'è, ai giovani non piace

a cura di Marta Ferrucci 

Precarietà: è una parola che rimbomba nelle teste dei ventenni e trentenni di oggi, creando ansia, scompiglio, incertezze: "è così in tutta Europa" ci sentiamo dire dal politico di turno, "In Inghilterra ci convivono da sempre e sono ricchi e felici" oppure - la più attuale - "dobbiamo contrastare il basso costo della mano d'opera cinese". Ma non bastano i contratti precari a rendere la vita diffcile, ci si mettono anche gli stipendi bassi e l'euro che raddoppia il costo della vita. Non sono luoghi comuni questi, ma la realtà con cui dobbiamo confrontarci quotidianamente in un paese che dei giovani si interessa poco ed in cui l'accesso al lavoro continua ad essere un miraggio per molti: oggi alla domanda "qual è il tuo sogno" il 25% degli "under 25" risponde "un posto di lavoro sicuro". Altro che velleità di carriera o riuscire a fare il lavoro dei sogni.... il mito oggi è il posto fisso.

Gli ultimi 10 anni sono stati determinanti per la legislazione sul lavoro che ha visto introdotte radicali modifiche ai sistemi contrattuali. Cambiamenti secondo molti necessari per adeguare il mercato del lavoro alle nuove esigenze della società. Ma siamo sicuri che le scelte fatte siano le migliori possibili? 

STAGE: OPPORTUNITA' O SFRUTTAMENTO? 
Con la legge Treu del 1997 ed il successivo decreto n.142 del Ministero del Lavoro viene dato pieno slancio allo stage.
In cosa dovrebbe consistere secondo la legge? Uno strumento di formazione e orientamento adatto a neo laureati o neo diplomati che muovono i primi passi nel mondo del lavoro, un'opportunità per testare le proprie capacità e le proprie attitudini professionali.
Cos'è in pratica? Se si dovesse definire lo stage in base alle opinioni che di questo hanno gli ex stagisti che ci hanno scritto dovremmo definire i tirocini in tutt'altro modo. Attualmente sembra che questi siano più utili alle aziende che ai giovani. Le prime hanno garantita mano d'opera gratuita a volontà mentre i secondi spesso vengono relegati a ruoli lavorativi molto bassi in cui nulla hanno da imparare sulle strategie aziendali, svolgendo mansioni di data entry, segreteria e quant'altro.
La legislazione stessa lascia troppi vuoti oppure stabilisce regole che avvantaggiano solo le imprese: ad esempio, la legge dice che gli stage possono avere una durata che varia da 4 a 12 mesi e non pone invece vincoli sul numero di tirocini che una persona può svolgere e non riconosce neanche un contributo minimo, un rimborso spese che invece sarebbe giusto garantire ad ogni stagista.
I correttivi. Come si fa a pensare che si possa lavorare gratis per una azienda durante un anno? Un tirocinio non dovrebbe poter durare più di 3 mesi, di più si viene a configurare una condizione di sfruttamento; alle aziende dovrebbe essere imposto di garantire un minimo di rimborso spese (ad esempio i buoni pasto) e queste in sede di colloquio dovrebbero essere molto chiare sulla possibilità concreta di inserimento del giovane dopo il periodo di tirocinio, elemento quest'ultimo su cui a volte le aziende giocano sporco dando false illusioni.

Marco Z.: "avendo effettuato uno stage in azienda posso confermare che è un totale sfruttamento dello studente, in più per le aziende non è solo manodopera gratuita ma è un guadagno doppio visto che le aziende che accettano stagisti percepiscono dei contributi statali oltre alle ore di lavoro che non pagano agli stagisti. Frequento un'istituto professionale, corso elettrico, e nelle 6 settimane lavorative di stage non ho imparato niente (...) nelle ultime 8 ore ho dovuto spostare 600 (si 600) motori da più di 10kg ciascuno! se questo è ingresso nel mondo del lavoro...".

Naty: "Io ho detto NO ad uno stage presso una nota casa farmaceutica (con fatturato di miliardi) per 6 mesi gratis... preferisco stare a casa".

L'opinione dei giovani sullo stage 
Su Studenti.it abbiamo chiesto ai giovani cosa ne pensassero dello stage, se fossero convinti dell'utilità di questo strumento per trovare lavoro oppure no, e ci hanno risposto in 1.200: il 21% delle persone conferma che è un'ottimo strumento per trovare lavoro, il 46% pur ritenendolo utile sostiene che se ne stia abusando mentre il 31% non vede nello stage alcuna utilità e lo considera solo un mezzo per fornire alle aziende lavoratori a costo zero.



CONTRATTI PRECARI
Ma la delusione che può nascere da uno stage è solo la prima di una lunga serie che ai giovani riserva l'attuale mondo del lavoro. Se il giovane dovesse trovare un'occupazione, infatti, è molto probabile che il contratto proposto sia un contratto "flessibile". Cosa significa? Il tema della flessibilità riguarda sia la forma del contratto di lavoro, sia la retribuzione, sia l'utilizzo della manodopera. Dal '92 ad oggi in Italia i contratti flessibili sono aumentati del 45% e nel '99 hanno segnato il 57,7% dei nuovi posti di lavoro. Contratti a progetto, a tempo determinato, di formazione lavoro, contratti di inserimento ed interinali sono i contratti "dell'esercito dei precari".

Emilia ha 31, è laureata in ingegneria ed ha alle spalle diversi corsi di specializzazione, tirocini e stage non retribuiti: "(...) ora mi ritrovo con un contratto di 6 mesi di cui so già in partenza che non ci sarà rinnovo. Guadagno meno di 1000 euro netti al mese, per un totale che va da 50 a 66 ore lavorative settimanali (ovviamente, neanche a dirlo, gli straordinari sono in nero). Il risultato di tanto precariato: la depressione, la sfiducia nel mondo del lavoro, la stanchezza di cercare.... Ho lavorato per un totale di circa 2 anni ma mi sento come se avessi lavorato per 20 anni, stufa di tutta questa situazione e soprattutto schifata da tutto ciò che ho visto in termini di soprusi e sfruttamento".

Un'altra testimone anonima si firma "Arrabbiata e delusa": "Sono laureata dal 2002 in matematica a La Sapienza con 95/110. Dall'ottobre del 2002 insegno in una scuola privata riconosciuta dalla regione in cui vivo di estetisti e parucchieri. Ho un contratto occasionale (invece che a progetto) mi pagano 8 euro l'ora (da cui è stato già detratto il 20%) e... se gli alunni non vengono a scuola non mi pagano. Bello vero? Sono ricorsa al sindacato della scuola a dicembre dell'anno scorso per vedere se li potevo denunciare ma l'avvocato mi ha fatto capire che se mi univo con tutto il corpo isengnate forse si sarebbero mossi ma per me da sola no perchè non avrebbero avuto il loro guadagno".

Alessia ha 30 anni ed una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche con orientamento tossicologia dell'ambiente. Da 2 anni lavora come operaia su tre turni a ciclo continuo con un contratto a tempo determinato. Lavora il sabato, la domenica ed i festivi, ha lavorato a Natale e a Capodanno: " E' veramente deprimente" - racconta - "studiare una vita per non avere nessuna garanzia, non poter progettare nulla, una vita col mio compagno, una casa, dei figli".

Jennifer ha inviato il c.v. ad una compagnia aerea per diventare assistente di volo: accede al corso base della durata di 1 mese, con lezioni in aula dalle 8 alle 18, 7 giorni su 7, non retribuito e con spese completamente a carico dell'allievo. Terminato il corso e superato l'esame finale viene ammessa al training a bordo della durata di 6 mesi, con retribuzione fissa di 300 euro mensili, lavorando molto di più del personale assunto, con paga ben 5 volte maggiore. Dopodichè l'azienda l'assume con un contratto di 7 mesi "stagionale", al termine del quale le viene detto che l' avrebbero richiamata sicuramente entro i 5 mesi successivi. Da allora di mesi ne sono passati 11. Come mai? Jennifer ha scoperto che le compagnie aeree ricevono dei fondi dall'UE per effettuare questi corsi; ne fanno uno dietro l'altro pur di avere i soldi ed inevitabilmente alla fine si trovano con personale in esubero che non viene riconfermato (leggi la sua testimonianza sul forum).

A "Nefertiti" è andata meglio... perchè se ne è andata in Venezuela: "anch'io faccio parte del gruppo di laureati che hanno partecipato ad uno stage, ma all'estero. Mi è toccato il Venezuela ma per lo meno qui ho trovato lavoro; certo non è facile vivere in un paese scomodo per tanti motivi, ma essere fuori dalla disoccupazione mi consola. Il fatto è che desidererei tornare presto in Italia e trovare un lavoro che mi permetta di essere indipendente dalla famiglia, ma la situazione è decisamente sconfortante. Per ora si prosegue qui, lontano dagli affetti e dalla patria, nella speranza che un giorno la bella Italia ci ripaghi dei sacrifici (studio, soldi e sogni) di una vita!".

Che contratto hanno i giovani? 
Abbiamo chiesto agli utenti di Studenti.it che tipo di contratto avessero: solo il 25% ha un contratto a tempo indeterminato. Il 22% ha un contratto a tempo determinato, il 24% a progetto, il 4% di formazione lavoro, il 7% interinale, un'altro 4% di consulenza mentre l' 11% ha risposto "altro".



Cosa chiedono i giovani al nuovo Governo?
Le cose devono necessariamente cambiare. Solo il 18% degli interpellati infatti è contento della linea politica del Governo Berlusconi e delle riforme apportate dalla Legge Biagi. Il 21% chiede dei correttivi che diano più garanzie anche ai precari, il 20% vorebbe abolire la legge sugli stage, il 23% chiede stipendi minimi più alti, un 7% sgravi fiscali per i neoassunti. Il costo del lavoro è considerato un problema secondario, tant'è che a questa risposta hanno dato la loro preferenza solo il 3% degli intervistati. L'11% "chiederebbe altro".

(postato dal coblogger Condorbianco)

lunedì 6 novembre 2006

Evviva "Addio Pizzo"


LEGGO E VOLENTIERI DIFFONDO IL SEGUENTE

APPELLO CONTRO LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA*


La criminalità organizzata è un problema nazionale.

Perchè non se ne parla mai abbastanza, perchè si tende a dimenticare?

A Palermo è nato il comitato antiracket ADDIO PIZZO e dal sito
www.addiopizzo.org si può conoscere la missione dei volontari di questo
comitato e le loro azioni.

Sono convinto che nel nostro paese continuare a parlare di mafia sia un
piccolo e modesto modo di solidarizzare con chi quotidianamente subisce la
prepotenza e l’arroganza del crimine.

Pur non facendo parte del Comitato ADDIO PIZZO, ho deciso autonomamente di
promuoverne il sito www.addiopizzo.org in rete, invitando con mail e
messaggi le persone a conoscere l’opera di questo gruppo di volontari.

Credo che sia giusto diffondere le idee che si ritengono meritevoli.

Ringrazio per la cortese attenzione


*Postato da Luca D. sul Forum "Storia e Politica.

giovedì 2 novembre 2006

La bambina di Cogoleto


PER PAURA DELL'ORFANOTROFIO?

La bimba bielorussa di Cogoleto non è un pacco postale, oltre che a essere accudita e amata ha diritto
alla sua privacy.

So che questo post potrà essere impopolare.
Ma da genitore adottivo, non posso trattenere il mio sdegno.

Mi riferisco alla coppia di Cogoleto che ha sequestrato la bambina che aveva in affido.
E preciso che:

a) Tutta la comprensione umana per il caso (capisco perfettamente che temessero il ritorno della bimba in quell'orfanotrofio), ma hanno violato la legge. E la legge va rispettata. E la legge italiana sull’adozione e l’affido è tra le più avanzate al mondo, perché mette al primo posto il diritto del bambino di avere una famiglia che corrisponda alle sue esigenze, e non il desiderio (che non è un diritto, è solo un desiderio legittimo) della coppia a diventare genitori.

b) La bambina li chiamava “mamma e papà”? Colpa loro. Loro (quelli che erroneamente i mass media chiamano “genitori affidatari”, NON sono genitori, sono solo ospiti, cioè affidatari) hanno acconsentito che la bambina li chiamasse così. Sbagliato, sbagliatissimo: se non sei certo che quel bambino diventerà tuo figlio anche legalmente, consentirgli di chiamarti “papà” o “mamma” è illuderlo. E prendere per il sedere un bimbo, sia pure in buona fede, sia pure per un umano desiderio di genitorialità, è uno sbaglio enorme.
c) Il giornalista che ha OSATO intervistare la bambina (e che appariva tutto contento della sua prodezza sul TG1 e sul TG2 di ieri sera), per fare lo scoop, ha commesso un grave errore morale, illudendo la bambina ancora di più, e violando (se non nella lettera, certamente nello spirito) la legge sulla privacy dei minori.
d) Il genitore adottivo è profondamente diverso dall’affidatario: il genitore adottivo è genitore a tutti gli effetti, l’affidatario (non genitore) è SOLO un ospite temporaneo per un bambino che ha dei problemi. Illudere il bambino, CONSENTENDOGLI di chiamarti “mamma” o “papà”, è un crimine, non solo per la legge, ma anche sul piano etico, perché gli metti in testa che diverrà tuo figlio quando non è vero.

Tutta la mia comprensione umana alla coppia di Cogoleto. Ma hanno fatto una grande stupidaggine,  non cogliendo la differenza tra affido e adozione.
E adesso ne paga le conseguenze emotivo-affettive quella bambina.

Due parole chiare sulle mafie


Con la criminalità non si "convive"!
Tempo addietro un ministro della repubblica di uno dei più discussi governi della storia repubblicana ebbe il coraggio di fare delle affermazioni alquanto idiote e irresponsabili, successivamente smentite, su uno dei più incresciosi problemi italiani: La criminalità organizzata.
Mafia in Sicilia, camorra in Campania, 'ndrangheta in Calabria, sacra corona unita in Puglia, tanti modi per esprimere quel potere che ha controllo politico e sociale in zone del Mezzogiorno dove la sovranità dello stato tarda a farsi sentire. Non basterà un esercito o le parole di  insensato odio di un dentista bergamasco prestato alla politica a bloccare l'escalation di violenza che ha investio Napoli in questi giorni.
Napoli, città in cui mi sento legato e dove ho le mie origini, può uscire da questo vortice di odio, e lo può fare con un informazione sempre più fitta e attenta.
Roberto Saviano con il suo Gomorra
 , un libro che racconta il potere della camorra, la sua affermazione economica e finanziaria, e la sua potenza militare, la sua metamorfosi in comitato d'affari. La storia parte dalla guerra di Secondigliano di qualche anno fà, dall'ascesa del gruppo Di Lauro al conflitto interno che ha generato 80 morti in poco più di un mese.
Come Saviano siamo in tanti che vogliono uscire da questa mentalità, dare opportunità a quei giovani che vivono a Secondigliano o Scampia, dove la disoccupazione può raggiungere cime del 50% ed il reddito mensile di un lavoratore in nero non supera i 500 Euro.
E non bastano nemmeno i semplici discorsi del nostro Presidente della repubblica, anche egli napoletano, a cambiare la situazione di Napoli e del Mezzogiorno.
Napoli può cambiare e lo può fare adesso! E il cambiamento può partire solo dalle menti più giovani come Saviano e come hanno fatto i ragazzi di Locri dopo l'omicidio Fortugno.

Dalla quarta di copertina del libro Gomorra:
"Questo incredibile, sconvolgente viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra si apre e si chiude nel segno delle merci, del loro ciclo di vita. Le merci "fresche", appena nate, che sotto le forme più svariate - pezzi di plastica, abiti griffati, videogiochi, orologi - arrivano al porto di Napoli e, per essere stoccate e occultate, si riversano fuori dai giganteschi container per invadere palazzi appositamente svuotati di tutto, come creature sventrate, private delle viscere. E le merci ormai morte che, da tutta Italia e mezza Europa, sotto forma di scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umano, vengono abusivamente "sversate" nelle campagne campane, dove avvelenano, tra gli altri, gli stessi boss che su quei terreni edificano le loro dimore fastose e assurde - dacie russe, ville hollywoodiane, cattedrali di cemento e marmi preziosi - che non servono soltanto a certificare un raggiunto potere ma testimoniano utopie farneticanti, pulsioni messianiche, millenarismi oscuri. Questa è oggi la camorra, anzi, il "Sistema", visto che la parola "camorra" nessuno la usa più...."

(postato dal coblogger Condorbianco)

domenica 29 ottobre 2006

Licenza di uccidere


Il caso:
Napoli: tabaccaio indagato per omicidio
Non più eccesso di difesa, ma omicidio volontario e lesioni aggravate:
 sono queste, per ora, le ipotesi di reato per le quali è iscritto nel registro degli indagati Santo Gulisano, il tabaccaio, ex poliziotto, che venerdì ha reagito a un tentativo di rapina uccidendo un malvivente e ferendone un altro. La procura attende che l'autopsia, nella giornata di lunedì, e la successiva analisi balistica accertino la dinamica dei fatti avvenuti a Crispano (Napoli): in base a questi elementi, l'accusa potrebbe essere modificata in eccesso colposo oppure rientrare nei casi previsti dalla recente normativa sulla legittima difesa.
Gulisano, proprietario della tabaccheria, ha sparato un colpo mortale per difendere il figlio, minacciato con una pistola puntata alla nuca da un pregiudicato, morto all' istante. Un passato in polizia, nel corpo dei falchi e della squadra mobile, ora in pensione, Gulisano è apparso profondamente scosso in seguito all'accaduto: «In 30 anni di attività come poliziotto - ha spiegato agli investigatori - non mi è mai capitato di sparare ad un uomo». Oltre a Gulisano, ascoltato nella scorsa notte per oltre tre ore, alla presenza dell'avvocato Luigi Ferrante, il pm Francesco Soviero, titolare dell'inchiesta, ha sentito anche tre testimoni oculari, che si trovavano nel locale al momento della rapina. Nei prossimi giorni verrà interrogato anche G.D.G., 16 anni, tuttora ricoverato al Cardarelli, dove è stato ricoverato per le ferite riportate alle braccia e al fianco. Il proprietario della tabaccheria ha premuto il grilletto due volte, uccidendo Amura, e ferendo successivamente il minorenne: secondo quanto sostenuto nei primi interrogatori, anche il ragazzo possedeva un'arma, che però non è stata trovata. Non si esclude che il giovane abbia avuto il tempo di disfarsene, uscendo dal locale.
Gulisano ha raccontato di aver temuto per la vita di suo figlio e di aver puntato la pistola per difenderlo. L'uomo ha perso un figlio di 31 anni tre anni fa, morto di infarto, probabilmente in seguito al trauma subito per l'incidente stradale in cui erano morti due amici. Al momento della rapina, Gulisano si trovava dietro al bancone, in una zona meno visibile del negozio, quando Amura, dopo aver dimostrato di essere in possesso di un'arma vera, sparando contro una vetrina, ha minacciato il figlio, dopo aver ottenuto 200 euro che però non gli erano bastati. Il malvivente infatti aveva intimato al giovane di «consegnare tutto», portandolo successivamente al centro della stanza e costringendolo ad inginocchiarsi, mirando prima alla bocca e poi alla nuca con una calibro 7,65. È a questo punto che è intervenuto il padre: non visto, Gulisano è riuscito a prendere una pistola riposta nel cassetto, nascondendola dietro il proprio corpo, e l'ha poi puntata contro Amura. Questione di pochi secondi, «l'impressione che l'uomo stesse per sparare», e un gesto di troppo che interferisce sul successivo drammatico fotogramma dell'azione: il complice di Amura - ha raccontato Gulisano nell' interrogatorio - tenta di spostare la pistola, sollevando con uno scatto il braccio del tabaccaio. Esito della manovra, il colpo mortale. Elemento da approfondire, per delineare la posizione del tabaccaio, il fatto che Golisano a questo punto non si sia fermato: sparando anche in direzione del minorenne, che ormai era in fuga.
Gulisano ha detto al pm di aver sparato per difendere il figlio, che aveva una pistola puntata alla nuca da Franco Amura, il rapinatore ucciso. È stato interrogato per oltre tre ore dal pm che ha anche ascoltato in qualità di testimoni tre persone che si trovavano nel locale al momento della rapina. «Non voleva uccidere: Gulisano ha sparato per difendere suo figlio, puntando agli arti inferiori del rapinatore - ha detto l'avvocato Luigi Ferrante, legale del negoziante -. Quando il complice si è reso conto dell'accaduto ha iniziato a indietreggiare, senza mai rivolgere le spalle al mio assistito, e con un'arma in pugno. Probabilmente a questo punto è partito l'altro colpo».
Corriere della sera

La legge
E’ stata definitivamente approvata la riforma sulla legge della legittima difesa.
Non sarà più punibile chi spara al ladro dentro casa, nel suo negozio, nell’ambito di un’attività professionale o imprenditoriale.Il provvedimento, costituito da un solo articolo, modifica l’articolo 52 del Codice penale, in materia di “difesa legittima”. L’articolo, in origine, prevedeva che «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». La nuova legge approvata definitivamente dalla Camera aggiunge due commi all’articolo 52. 

In caso di violazione di domicilio sussiste il rapporto di proporzione rispetto all’offesa se si utilizza un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità, beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. La norma si applica anche se il fatto avviene nell’ambito di un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Non sarà più punibile, dunque, chi si difende da un’aggressione sparando o colpendo il malvivente con un’arma da taglio, con un corpo contundente, a patto che vi sia pericolo d’aggressione e non vi sia desistenza da parte dell’intruso. Il provvedimento è stato approvato con 244 voti favorevoli e 175 contrari, fra l'esultanza dei leghisti. «Da oggi i delinquenti - dice il ministro della Giustizia Roberto Castelli - devono avere qualche timore in più e le brave persone, vittime delle aggressioni, qualche problema in meno. È stato finalmente sancito il principio per cui un aggressore e un aggredito non sono più sullo stesso piano. È stato riconosciuto il diritto dell'aggredito di difendersi».

 Il provvedimento è, invece, bocciato dall’Unione delle Camere penali. «Purtroppo è stata approvata un’altra legge ingiusta - dice Ettore Randazzo, presidente dell’Ucpi - che autorizza la legittima offesa». Drastico anche il giudizio di Giuliano Pisapia, capogruppo di Rifondazione comunista in commissione Giustizia. «Una norma incostituzionale - dice Pisapia - in quanto pone sullo stesso piano il bene della vita e dell’incolumità personale e beni di carattere patrimoniale. Un ulteriore vulnus alle regole di uno stato di diritto».
In che caso viene applicata questa legge?

(pubblicato dalla coblogger Sabry65)

venerdì 27 ottobre 2006

Berlusconi devia i servizi?


SPERIAMO TUTTI QUANTI CHE SIA UNA BUFALA...
IL SISMI CON BERLUSCONI AL GOVERNO...
...pare non si occupasse della difesa dello Stato, ma della persecuzione dell'opposizione politica e dell'aggressione a parti della Magistratura.
Dal Corriere della Sera:

ROMA — Una lista di nomi: qualche politico (di sinistra) e molti magistrati. Intitolata "aree di sensibilità". E poi, sotto lo stesso titolo, una sorta di programma operativo per contrastare le presunte attività anti-governative evidentemente attribuite alle persone inserite nell'elenco. E' un documento senza data né intestazione, riferibile all'estate del 2001, quando s'era appena insediato il governo guidato da Silvio Berlusconi. E' stato trovato nell'archivio dell'ufficio Sismi di via Nazionale a Roma, quello gestito da Pio Pompa, strettissimo collaboratore del direttore Nicolò Pollari.
I magistrati milanesi che indagano sul ruolo del servizio segreto militare nel sequestro di Abu Omar stanno ancora valutando il valore di queste carte. Ma nel frattempo le hanno trasmesse al comitato parlamentare di controllo sui Servizi. Insieme ad altri documenti trovati nell'anonimo ufficio romano. Tra i quali una comunicazione della Cia del maggio 2003 in cui si riferirebbe che l'imam egiziano scomparso da Milano tre mesi prima si trovava nelle carceri egiziane. Particolare che dalle indagini è emerso solo un anno più tardi. E che smentirebbe quanto i vertici del Sismi hanno sempre sostenuto, e cioè che di Abu Omar non avevano mai saputo nulla.
Se la comunicazione della Cia ha un legame diretto con l'inchiesta sul rapimento dell'imam, gli altri documenti trovati nell'ufficio di Pompa e inviati al Parlamento riguardano il funzionamento e le finalità del Servizio. Dell'elenco di nomi — anzi di soli cognomi — di politici e magistrati non si conosce l'origine, né il motivo per cui era finito nelle mani del funzionario del Sismi che lo ha conservato. La lista si apre con Violante, e gli altri politici sono Brutti, Visco, Bargone (l'ex sottosegretario ds nei governi di centrosinistra), Veltri e Leoluca Orlando. Compaiono anche un non meglio precisato "De Benedetti", Arlacchi e "Floris D'Arcais", evidente riferimento al direttore del periodico Micromega Paolo Flores d'Arcais. Gli altri sono magistrati, dal procuratore generale di Torino Caselli all'ex presidente dell'Anm Edmondo Bruti Liberati, seguiti da pubblici ministeri palermitani e milanesi (c'è quasi l'intero pool Mani pulite, da Borrelli in giù) e poi di Napoli, Roma, Bari e qualche altra città.
Sotto la stessa indicazione "aree di sensibilità" viene poi disegnato un progetto di "disarticolazione, graduale ma costante, del dispositivo approntato in sede politico-giudiziaria da noto esponente, già appartenente all'ordine giudiziario, che si è proposto quale ideologo e poi catalizzatore e garante occulto di un gruppo di appartenenti a quell'ordine". Quel "dispositivo", secondo il documento, aveva in animo delle "iniziative di aggressione" di tipo "politico-giudiziario" nei confronti di "esponenti dell'attuale maggioranza di governo e di loro familiari", paventate nei tribunali di Milano, Torino, Roma e Palermo. Al fianco di queste, provenienti da Spagna e Gran Bretagna, vengono ipotizzate altrettante "attività aggressive svolte in sinergia" con i magistrati italiani.
Contro queste possibilità si ipotizzano specifiche iniziative di "disarticolazione", "neutralizzazione" e "ridimensionamento " dei presunti progetti anti- governativi. Viene addirittura auspicata la creazione di un gruppo di "soggetti di riferimento" cui affidare lo specifico compito di studiare preventivamente le immaginate "iniziative aggressive". E si specifica che bisogna fare in fretta ad organizzare le contromosse, perché l'attuazione dei programmi definiti "destabilizzanti" viene data per imminente, non appena la vecchia maggioranza divenuta opposizione al governo Berlusconi avesse superato il trauma della sconfitta subita. Tra gli organismi che avrebbero dovuto mettere in atto le "aggressioni" al governo di centrodestra e ai suoi esponenti è indicato pure l'Olaf, l'ente dell'Unione Europea contro le frodi e la corruzione del quale facevano parte anche magistrati italiani.
Per il contrasto a questi supposti pericoli vengono suggerite delle azioni di "supporto conoscitivo" da sviluppare all'interno delle istituzioni (ad esempio individuando i "focolai di contrapposizione tecnico-politica alla linea del governo"), e più in generale attraverso lo studio delle "fonti aperte", sia in Italia che nel resto del mondo.
A parte l'utilizzo di una terminologia che a tratti suona perfino inquietante per l'assonanza con certi comunicati di gruppi terroristici interni (il termine più ricorrente è "disarticolazione"), colpisce l'organicità di un progetto sul quale gli inquirenti ritengono necessario fare chiarezza, tanto da portarlo a conoscenza di un organismo parlamentare. Chi ne era in possesso, Pio Pompa, in una memoria inviata ai magistrati ha detto di non poter rispondere sulla sua attività per motivi di riservatezza e "nell'intento di tutelare la sicurezza nazionale". Quanto all'imponenza del suo archivio ha spiegato: "Nella mia missione sono obbligato ad acquisire, classificare e custodire tutte le informazioni che ottengo, senza distinzione di genuinità, affidabilità e attendibilità, etc... Si acquisiscono informazioni utili e inutili; ciò non significa che anche quelle inutili debbano essere cestinate e non custodite".

Giovanni Bianconi 26 ottobre 2006