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martedì 26 settembre 2006

Cerchiamo di capirli



ESSERE DI DESTRA, OGGI: CHE VUOL DIRE?



Dopo aver chiesto per tutta l'estate, su blogs di destra estrema e non, quali fossero i valori fondanti dell'essere di destra (perché non avevo ben capito), mi ero quasi arreso, avendo ricevuto risposte (quando non insulti) del tutto generiche, tipo "il patriottismo". Ora mi imbatto per caso, in un forum che ahimé è stato poi chiuso per evidente apologia di fascismo, nel testo che riporto qui di seguito.
Non ne condivido quasi nulla personalmente, però ha almeno il pregio, secondo me, dell'onestà intellettuale, senza ricorso al politically correct  o all'ipocrisia. Tengo presente però che proviene dalla destra estrema. Quindi mi piacerebbe molto, se qualche moderato dello schieramento di centrodestra mi dicesse fino a che punto condivide questo testo (che riporto integralmente; ho solo evidenziato in grassetto i passaggi a mio avviso più significativi).
"Perchè non esiste una cultura di destra"

di Adriano Romualdi

Uno dei motivi che più ricorrono sulla nostra stampa e nelle conversazioni del nostro ambiente è la condanna del massiccio allineamento a sinistra della cultura italiana. Questa condanna viene formulata in tono un po' addolorato, un po' sorpreso, quasi fosse innaturale che la cultura si trovi ormai schierata da quella parte mentre a destra si incontra un vuoto quasi completo.

Di solito si cerca di rendersi ragione di questo stato di cose con spiegazioni a buon mercato, quel tipo di spiegazioni che servono a tranquillizzare sé stessi e permettono di restare alla superficie delle cose.
Si dice - ad esempio - che la cultura è a sinistra perché là si trova la maggior quantità di danaro, di case editrici, di mezzi di propaganda. Si dice anche che basterebbe che il vento cambiasse perché molti "impegnati a sinistra" rivedessero il loro engagement.

In tutto questo c'è del vero. Una cultura, o meglio, la base di lancio di cui una cultura ha bisogno, è anche organizzazione, danaro, propaganda. È indubbio che lo schiacciante predominio delle edizioni d'indirizzo marxista, del cinema socialcomunista, invita ali'engagement anche molti che - in clima diverso - sarebbero rimasti neutrali.

Ma ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio dell'egemonìa ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo, neoilluminismo e scientismo a sfondo psicoanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d'estrazione "sociale". Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione unitaria dell'uomo, dei fini della storia e della società.
Da questa comune concezione trae origine una massiccia produzione saggistica, storica, letteraria che può essere meschina e scadente, ma ha una sua logica, una sua intima coerenza. Questa logica, questa coerenza esercitano un fascino sempre crescente sulle persone colte. Non è un mistero per nessuno il fatto che un gran numero di docenti medii ed universitari è comunistizzato, e che la comunistizzazione del corpo insegnante dilaga con impressionante rapidità. E, tra i giovani che hanno l'abitudine di leggere, gli orientamenti di sinistra guadagnano terreno a vista d'occhio.

Dalla parte della Destra nulla di questo. Ci si aggira in un'atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che la cultura tenga maggior conto dei "valori patriottici", della "morale" il tutto in una pittoresca confusione delle idee e dei linguaggi.
A sinistra si sa bene quel che si vuole. Sia che si parli della nazionalizzazione dell'energia elettrica o dell'urbanistica, della storia d'Italia o della psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato, alla diffusione di una certa mentalità, di una certa concezione della vita.

A destra si brancola nell'incertezza, nell'imprecisione ideologica. Si è "patriottico-risorgimentali" e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l'idea unitaria. Oppure si è per un "liberalismo nazionale" e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l'ordine europeo. O, ancora, si parla di "Stato nazionale del lavoro" e si dimentica che una repubblica italiana fondata sul lavoro l'abbiamo già - purtroppo - e che ridurre in questi termini la nostra alternativa significa soltanto abbassarsi al rango di socialdemocratici di complemento. Forse gli uomini colti non sono meno numerosi a destra che a sinistra. Se si considera che la maggior parte dell'elettorato di destra è borghese, se ne deve dedurre che vi abbondano quelli che han fatto gli studi superiori e dovrebbero aver contratto una certa "abitudine a leggere".

Ma, mentre l'uomo di sinistra ha anche degli elementi di cultura di sinistra, e orecchia Marx, Freud, Salvemini, l'uomo di destra difficilmente possiede una coscienza culturale di destra. Egli non sospetta l'importanza di un Nietzsche nella critica della civiltà, non ha mai letto un romanzo di Juenger o di Drieu La Rochelle, ignora il "Tramonto dell'Occidente" né dubita che la rivoluzione francese sia stata una grande pagina nella storia del progresso umano. Fin che si rimane nella cultura egli è un bravo liberale, magari un po' nazionalista e patriota. È solo quando incomincia a parlare di politica che si differenzia: trova che Mussolini era un brav'uomo e non voleva la guerra, e che i films di Pasolini sono "sporchi".

Basta poco ad accorgersi che se a destra non c'è una cultura ciò accade perché manca una vera idea della Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica, antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe oleografie politiche.

Che cosa significa essere di destra

Con queste affermazioni che, come tutte le affermazioni veritiere, scandalizzeranno più d'uno, crediamo di aver posto il dito sulla piaga.

Che cosa dovrebbe propriamente significare "esser di destra"?

Esser di destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia o il socialismo.

Esser di destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressistici, materialistici che preparano l'avvento della civiltà plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose.

Esser di destra significa in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il detto "a ciascuno il suo" non significa uguaglianza, ma equa disuguaglianza qualitativa.

Infine, esser di destra significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea, e - in nome di questa spiritualità e dei suoi valori - accettare la lotta contro la decadenza dell'Europa.

È interessante vedere in che misura questa coscienza di destra sia affiorata nel pensiero europeo contemporaneo. Esiste una tradizione antidemocratica che corre per tutto il secolo XIX e che - nelle formulazioni del primo decennio del XX - prepara da vicino il fascismo. La si può far cominciare con le Reflexions on thè revolution in France in cui Burke, per primo, smascherava la tragica farsa giacobina e ammoniva che "nessun paese può sopravvivere a lungo senza un corpo aristocratico d'una specie o d'un'altra".

In seguito, questa pubblicistica cercò di sostenere la Restaurazione con gli scritti dei romantici tedeschi e dei reazionari francesi.

Si pensi agli aforismi di Novalis, col loro reazionarismo scintillante di novità e di rivoluzione ("Burke hatein revolu-tionàres Buch gegen die Revolution geschrieben"), alle suggestive e profetiche anticipazioni: "Ein grosses Fehler unse-rer Staaten ist, dass man den Staat zu wenig sieht... Liessen sich nicht Abzeichen und Uniformen durchaus einfùhren?". Si pensi ad un Adam Mtiller, alla sua polemica contro l'atomismo liberale di Adam Smith, la contrapposizione di una economia nazionale all'economia liberale. Ad un Gentz, consigliere di Metternich e segretario del Congresso di Vienna, ad un Gòrres, a un Baader, allo stesso Schelling. Accanto a loro sta Federico Schlegel con i suoi molteplici interessi, la rivista Europa, manifesto del reazionarismo europeo, l'esaltazione del Medioevo, i primi studi sulle origini indoeuropee, la polemica coi liberali italiani sul patriottismo di Dante, patriota dell'"Impero" .

Si pensi a un De Maistre, questo maestro della controrivoluzione che esaltava il boia come simbolo dell'ordine virile e positivo, al visconte De Bonald, a Chateaubriand, grande scrittore e politico reazionario, al radicalismo di un Donoso Cortes: "Vedo giungere il tempo delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane". Peraltro, la critica puramente reazionaria aveva dei limiti ben evidenti nella chiusura a quelle forze nazionali e borghesi che ambivano a fondare una nuova solidarietà di là dalle negazioni illuministiche. Arndt, Jahn, Fichte, ma anche l'Hegel de La filosofia del diritto appartengono all'orizzonte controrivoluzionario per la concezione nazional-solidaristica dello Stato, anche se non ne condividono il dogmatismo legittimistico. La chiusura alle forze nazionali (anche là dove, come in Germania, si trovano su posizioni antiliberali) è il limite della politica della Santa Alleanza. Crollato il sistema di Metternich, per la miopìa della concezione di fondo (combattere la rivoluzione con la polizia e restaurando una legalità settecentesca), la controrivoluzione si divide in due rami: l'uno si attarda su posizioni meramente legittimistiche, confessionali, destinate ad esser travolte; l'altro cerca nuove vie e una nuova logica.

Carlyle polemizza contro lo spirito dei tempi, l'utilitarismo manchesteriano ("non è che la città di Manchester sia divenuta più ricca, è che sono diventati più ricchi alcuni degli individui meno simpatici della città di Manchester"), l'umanitarismo di Giuseppe Mazzini ("cosa sono tutte queste sciocchezze color di rosa?"). Egli cerca negli Eroi la chiave della storia e vede nella democrazia un'eclissi temporanea dello spirito eroico.

Gobineau pubblica nel 1853 il memorabile Essai sur l'ine-galité des races humaines fondando l'idea di aristocrazia sui suoi fondamenti razziali. L'opera di Gobineau troverà una continuazione negli scritti dei tedeschi Clauss, Gùnther, Rosenberg, del francese Vacher de Lapouge, dell'inglese H.S. Chamberlain. Attraverso di essa il concetto di "stirpe", fondamentale per il nazionalismo, viene strappato all'arbitrarietà dei diversi miti nazionali e ricondotto all'ideale nordico-indoeuropeo come misura oggettiva dell'ideale europeo.
Alla fine del secolo, la punta avanzata della Destra è nella polemica di Federico Nietzsche contro la civilizzazione democratica. Nietzsche, ancor più di Carlyle e Gobineau, è il creatore di una Destra modernamente "fascista", cui ha donato un linguaggio scintillante di negazioni rivoluzionarie. Nietzschiano è lo scherno dell'avversario, la prontezza dell'attacco, la rivoluzionaria temerità ("was fàllt, das soli man auch stossen"). La parola di Nietzsche sarà raccolta in Italia da Mussolini e d'Annunzio, in Germania da Juenger e Spengler, in Spagna da Ortega y Gasset.
Intanto, anche all'interno del nazionalismo si è operato un "cambiamento di segno". Già nelle formulazioni dei romantici tedeschi la nazione non era più la massa disarticolata, la giacobina nation, ma la società stàndisch, coi suoi corpi sociali, le sue tradizioni, la sua nobiltà. Una società - insegnava Federico Schlegel - è tanto più nazionale quanto più legata ai suoi costumi, al suo sangue, alle sue classi dirigenti, che ne rappresentano la continuità nella storia.
Alla fine del secolo, una rielaborazione del nazionalismo nello spirito del conservatorismo è compiuta. Maurras e Barrés in Francia, Oriani e Corredini in Italia, i pangermanisti e il "movimento giovanile" in Germania, Kipling e Rho-des in Inghilterra, han conferito all'idea nazionale una impronta tradizionalistica e autoritaria. Il nuovo nazionalismo è essenzialmente un elemento dell'ordine.

Fascismo, Nazismo e cultura di destra

Essenzialmente si è detto. Infatti, il mito imprecisato del "popolo" serve ancora a contrabbandare una quantità di idee che di destra non sono. Di qui la scarsa capacità di presa dei regimi fascisti d'Italia e Germania nel campo della cultura. Fascismo e Nazismo, se ebbero chiara la loro contrapposizione ai movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, se osarono far fronte contro il mito borghese e quello proletario, contro capitalismo anglosassone e bolscevismo russo, non riuscirono a creare all'interno dello Stato una cittadella ideologica che potesse sopravvivere alla catastrofe politica.

Basti pensare che in Italia la leadership culturale fu affidata a Gentile, un uomo che seppe pagare di persona, ma -ideologicamente-solo un patriota di spirito risorgimentale, legato a filo doppio col mondo della cultura liberale. Non a caso, tutti i discepoli di Gentile (quelli intelligenti, che contano qualcosa nella cultura), militano oggi in campo antifascista e persino comunista. Chi legga Genesi e struttura della società non può non rimanere perplesso di fronte allo spirito democratico-sociale di quest'opera che, degnamente, culmina nell'ideale bolscevico dell'umanesimo del lavoro. Così, non può meravigliare che un gentiliano come Ugo Spirito si atteggi, di volta in volta, ora a "corporativista", ora a "comunista", senza bisogno di cambiare un rigo di ciò che ha scritto.
In Italia durante il ventennio si parlò molto di patria, di nazione, ma non ci si preoccupò mai di far circolare le idee della più moderna cultura di destra. Il tramonto dell'Occidente di Spengler (che pure Mussolini conosceva nell'originale), Der Arbeiter di Juenger, Der wahreStaat di Spann non furono mai tradotti; romanzi come Gilles di Drieu La Rochelle o I proscritti di von Salomon furono completamente ignorati dalla cultura fascista ufficiale.

In queste condizioni, era naturale che l'opera d'un Julius Evola venisse ignorata. Un libro come Rivolta contro il mondo moderno che, tradotto in Germania, destò grande interesse (Gottfried Benn scrisse di esso: "Un'opera la cui importanza eccezionale apparirà chiara negli anni che vengono. Chi la legge si sentirà trasformato e guarderà l'Europa con sguardo diverso") in Italia valse come non scritto.

All'ombra del Littorio, dietro la facciata delle aquile e delle divise, continuò a prosperare una cultura neutra, insipida, talvolta fedele al regime per un intimo patriottismo piccolo-borghese, più spesso in celato atteggiamento polemico e sobillatoria. Oggi sono di moda i memoriali alla Zangrandi in cui alcuni mediocri personaggi della politica e del giornalismo si vantano di aver fatto carriera come fascisti senza esserlo in realtà. È evidente la malafede di questi squallidi figuri ma, tra tante menzogne, una verità rimane: la "cultura fascista", quella ufficiale dei Littoriali della gioventù, dietro a una facciata di omaggi adulatori al Duce, al Regime, all'Impero, restava un miscuglio di socialismo "patriottico", di liberalismo "nazionale" e di cattolicesimo "italiano".
Caduta l'identità Italia-Fascismo, crollato nel 1943 il concetto tradizionale di patria, i socialisti "patriottici" sono diventati socialcomunisti, i liberali "nazionali" soltanto nazionali e i cattolici "italiani" democratici cristiani.

È indubbio che l'opportunismo ha contribuito a questa fuga generale, ma è certo che se il Fascismo avesse fatto qualcosa per creare una cultura di destra, un'imprendibile cittadella ideologica, qualcosa ne sarebbe rimasto in piedi. II Nazismo si trovò a lavorare su di una base migliore. La cultura di destra tedesca aveva dietro di sé una prestigiosa serie di nomi, a cominciare dai primi romantici fino a un Nietzsche. Lo stesso Goethe ha lasciato non equivoche parole di sfiducia per l'infatuazione liberale dei suoi tempi. Inoltre, tra il ' 18 e il '33, in Germania era fiorita la cosiddetta "rivoluzione conservatrice" con autori di fama europea: Oswald Spengler ed Ernst Junger, Othmar Spann e Moeller van den Bruck, Ernst von Salomon ed Hans Grimm sono nomi noti anche fuori dai confini tedeschi. Lo stesso Thomas Mann aveva dato con le Considerazioni di un impolitico un contributo fondamentale alla causa della Destra tedesca.
Anche qui però il mito del "popolo" prese la mano ai governanti e la Gleichschaltung fece ammutolire ogni critica, anche quella costruttiva. Ma, nei confronti del Fascismo, il Nazismo ebbe il merito di costringere la cultura neutra a una resa dei conti. Esso, molto più del regime italiano, ebbe la coscienza di rappresentare un'autentica visione del mondo, violentemente ostile a tutte le putrefazioni e le storture dell'Europa contemporanea. La mostra dell'arte degenerata, il rogo dei libri ebbero, se non altro, un significato ideale rivoluzionario, un carattere di aperta rivolta contro i feticci di un mondo in decomposizione.
Ma anche qui si esagerò; ci si accanì contro personaggi che potevano anche esser lasciati in pace come un Benn, e un Wiechert, mentre a loro volta gli epuratori mostravano tare populiste e giacobine. C'è un libretto intitolato An die Dunkelmaenner unserer Zeit ("Agli oscurantisti del nostro tempo") in cui Rosenberg risponde ai critici cattolici del suo Mythus con una volgarità che non ha nulla da invidiare a Voltaire o ad Anatole France.

Comunque, fu in ambiente nazista che si concepì l'ambizioso progetto di creare un weltanschaulicher Stosstrupp, una "truppa di rottura nel campo della visione del mondo" per aprire un varco nel grigio orizzonte della cultura neutra e borghese.
E la stessa concezione delle SS, il loro superamento del semplice patriottismo tedesco nel mito della razza ariana, la concezione dello Stato come Ordine virile, l'idea d'un impero europeo di nazione germanica, pongono il Nazismo all'avanguardia nella formulazione dei contenuti ideologici d'una pura Destra.

martedì 5 settembre 2006

Ciao capitano


ADDIO A GIACINTO FACCHETTI




Da vecchio milanista, una lacrima dedicata a te, Giacinto.

Caro capitano della "mia nazionale", quella di Mexico '70, del titolo europeo del '68.
"Albertosi, Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola (Rivera), Boninsegna, De Sisti, Riva"

Le telecronache di Niccolò Carosio...
La TV in bianco e nero, vista coi vecchietti e i compagni di scuola al bar.

Ho iniziato a tifare per i rosso-neri (si scriveva così allora) per simpatia verso i più deboli: anno scolastico 1965-66.
Per pietà verso coloro che venivano presi in giro dai vincitori d'allora, i nero-azzurri...

Per simpatia verso i più poveri (il Milan era la squadra dei salumieri, degli operai, allora, mentre l'Inter era quella dei "ragiunatt", della piccola e media borghesia dell'epoca).

Ma ciò non conta oggi.

Mi rimane nella testa la tua immagine atleticamente stentorea ed elegante. Il tuo incedere impetuoso. Il tuo tiro fulminante.

Ma soprattutto, la tua correttezza.
Mai cattivo, sempre leale, riservato, mai un commento sopra le righe.
Un fulgido esempio di gentiluomo prestato alla pedata.

Quanti ricordi, Giacinto!
Quanto mi mancherai, vecchio e caro avversario.
Addio, vecchio capitano azzurro.