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mercoledì 31 gennaio 2007

E allora?


Berluronica
Hanno litigato? Lei lo sta piantando? Lui ha dimostrato una certa cafonaggine con il sesso opposto?
CHISSENEFREGA
Come Italiani, grazie a lui e ai suoi soci, abbiamo ben altre gatte da pelare che occuparci del suo matrimonio.

venerdì 26 gennaio 2007

martedì 23 gennaio 2007

La smetta cardinale


EMINEMZ:
Uno Stato laico deve (dovrebbe) avere quale scopo proteggere gli interessi dei suoi cittadini, indipendentemente dalle loro convinzioni.
Uno Stato laico deve (dovrebbe) sanzionare SOLO i comportamenti che ostacolino la convivenza civile tra i suoi cittadini e tra loro e coloro che transitano sul suo territorio.
Uno Stato laico deve (dovrebbe) difendere i diritti umani di CHICCHESSIA sul suo territorio, indipendentemente da chi sia, da cosa pensi, da cosa creda.
Uno Stato laico deve (dovrebbe) difendere i valori della propria civiltà, rispettando quelle degli altri Stati, gruppi, etnie, eccetera.
Uno Stato laico decide quali sono i propri valori a maggioranza (ecco perché si fanno i referendum).
Uno Stato laico, per conseguenza, NON PUO’ imporre a tutte le persone che vivono o transitano sul suo territorio UNA morale.
La Chiesa (qualunque chiesa o religione) ha il sacrosanto diritto di dire la sua, nel senso che ha il diritto di dire ai suoi credenti come comportarsi, anche sul voto se questo voto implica questioni di coscienza (ma non partitiche).
La Chiesa (qualsiasi chiesa o religione) non ha il diritto di prescrivere a uno Stato laico cosa debba fare a livello legislativo. C’è anche nel Concordato.
Eminemz: la smetta, please.
Anche perché ciurlate nel manico.
Lei è cittadino italiano, o del Vaticano?
Lei è un libero pensatore, o un alto prelato della Chiesa?
Lei parla per la CEI, o per il Vaticano?
Lei chi è Eminemz?

Senza titolo


Le tue mani.
Ossa, ricoperte di pelle (ma perché mi è venuto il ghiribizzo di studiare anatomia, accidenti?)
Sembrano radiografie, non mani.
Guardandoti la testa, potrei disegnarne il teschio (ma perché sono bravo a disegnare?)
Sentendo ciò che dici, sento favole straordinarie, i tuoi sogni detti come un bimbo.

Aiutandoti ad alzarti a sedere (sei leggerissimo oramai) le mie dita potrebbero chiamare per nome ogni tendine, ogni articolazione della spalla.

Le tue mani hanno fatto tante cose brutte.
Anche belle.

Non so se Dio c’è.
Ma anche se non c’è, chi sono io per giudicarti?
Presto te ne andrai.

Facciamo la pace.

martedì 2 gennaio 2007

Senza titolo


Fibra d'acciaio.
Inossidabile attaccamento alla vita.
L'incredulità dei medici, dopo 15 giorni sul filo del rasoio.
Lo stupore del frate che ti aveva dato l'ultimo sacramento.

Ora sembri riconoscermi, ti alzi a sedere,
oggi hai mangiato ...

E ricominci i tuoi capricci, la tua pretesa di dominarci tutti.
Solo che affermi che ieri era Pasqua.
Solo che confondi tua nuora con tua moglie.
Solo che mi dici soavemente che io abito al 5o piano dell'ospedale e quindi verrò a trovarti in ogni momento (basta chiamare).
Solo che mi hai detto che "quando c'era Vittorio Emanuele si stava meglio".
Solo che mi chiedi i fichi, a Milano, il primo gennaio.
Solo che i medici dicono che durerai qualche settimana, qualche mese al massimo.
"Non ha più i polmoni", dicono.
"Danni cerebrali", dicono.

Ti guardo sgomento.
Il corpo sta meglio, durerà non so quanto.
La mente non c'è più.
E stanotte hai rischiato di ferire un'infermiera, un calcio in faccia mentre ti cambiava.
Sei nato rompiscatole, morirai rompiscatole.
Sei nato violento, muori violento.

Eppure l'ho fatto quasi con tenerezza, di curarti il decubito, stasera.
"Lei" forse avrebbe fatto così.
E noi siamo già stanchi tutti quanti e domani si ricomincia a lavorare.

Buon anno.

Buon anno.

lunedì 1 gennaio 2007


da l'Adige.it
«L'università italiana è un bordello»
di ANDREA TOMASI

L'accusa di un prof trentino Paris: «Un sistema mafioso»
21/12/2006 06:32

È trentino, ma vive e lavora negli Stati Uniti. Da oltreoceano ha ingaggiato una battaglia contro il «sistema universitario italiano». Si chiama Quirino Paris. È professore di economia agraria, economia matematica ed econometria. Insegna alla University of California (Davis) e dice: «Ciò che succede da voi, qui non potrebbe mai accadere». Parla di «mafia accademica». 

Dagli Usa ha inviato una dettagliata documentazione sui concorsi pubblici sospetti. Così la Procura della Repubblica di Trieste ha aperto un'inchiesta. Professor Paris, lei ha denunciato il sistema dei concorsi universitari: chiamate di professori studiate a tavolino; assegnazioni di cattedre definite dai «soliti baroni». Si parte da un «caso calabrese», ma lei dice che il sistema drogato non c'è solo in Meridione. «Purtroppo, il sistema dei concorsi truccati è piuttosto diffuso. Infatti, questa è la ragione principale per la riforma del sistema nel 1999 e per la riforma di cui si parla nel 2006. Nel 1999 si è passati da un sistema "nazionale" (nel senso che venivano eletti i membri di una commissione nazionale) ad un sistema "locale" (nel senso che i membri delle commissioni avevano valenza solo per il concorso bandito da una sola università). 

Ora si parla di ritornare al sistema nazionale. Perché? Perché, evidentemente, il sistema non funziona su larga scala. Ma bisogna rendersi finalmente conto che il sistema delle elezioni (anche mitigate da un sorteggio tra 15 eletti) non funziona né per le commissioni nazionali né per quelle locali». Nel 2003 lei denunciò al Cun (Consiglio universitario nazionale) il caso di un docente non confermato nonostante avesse tanti titoli. Al presidente del Cun chiese di intervenire per fare chiarezza. Lei parlò di "mafia accademica" e di "cupola". Una segnalazione che le è costata delle denunce per diffamazione. Lei ha mostrato, con un metodo matematico, che le votazioni per i membri delle commissioni erano pilotate. Ci può spiegare, in parole semplici, come funziona la cosa? «Le commissioni di concorso per professori ordinari di una data disciplina sono formate da cinque membri, uno designato dall'università che bandisce il posto e quattro eletti da tutti professori ordinari di quella disciplina afferenti a qualsiasi università. In economia agraria ci sono all'incirca cento professori ordinari. Dal 1999 al 2005 ci sono state ventisette votazioni per concorsi di professore ordinario. In ogni votazione, solo quattro individui hanno ricevuto un numero consistente di voti e sono risultati eletti. Non solo. Il numero di voti ricevuti è stato quasi uguale tra i quattro eletti. La probabilità che un evento di questo tipo si verifichi ventisette volte di seguito è praticamente uguale a zero. Ciò dimostra che le votazioni sono state pilotate. Lo scopo del pilotaggio è quello di far eleggere membri che siano d'accordo nel dichiarare idonei dei candidati che sono stati scelti come vincitori del concorso a priori, cioè prima dell'elezione dei membri della commissione. Nell'università italiana, in via generale, non si vince un concorso senza sponsor». 

Dopo qualche anno e tante grane giudiziarie, rifarebbe quello che ha fatto? Denuncerebbe all'autorità competente lo scandalo concorsi? «Certamente sì. Anzi, seguirei i concorsi più da vicino, per più tempo e mi documenterei con maggiore dettaglio». Dopo la sua denuncia, lei venne espulso dalla Sidea (Società italiana degli economisti agrari). Come si è spiegato quell'espulsione? «Semplicemente con il fatto che il presidente, che è stato il pilota di tutte le 150 votazioni in economia agraria dal 1999 al 2005, si crede potente ed intoccabile, non sopporta critiche e non ascolta consigli. Inoltre i componenti del Consiglio di presidenza della Sidea sono semplicemente dei suoi satelliti». Lei è trentino. Negli scorsi mesi anche l'Università di Trento è stata coinvolta in un'inchiesta sui concorsi: selezioni di personale tecnico amministrativo. Si è parlato di "raccomandazioni". 

Varie segnalazioni sono arrivate ai giornali regionali ma, stando a quanto emerso, pare che tutto fosse in regola. Pensa che esistano dei metodi sicuri al cento per cento per assegnare posti di lavoro pubblici? «Non sono ben informato sulla situazione che si è venuta a creare a Trento. Certamente esistono dei metodi validi per fare i concorsi. Tali metodi devono essere basati sulla trasparenza più assoluta: si deve pubblicazione in internet il curriculum vitae di ciascun candidato, le qualifiche dei commissari, e i verbali. Ma ci vuole anche una commissione esterna d'appello. Non si può più pensare che una sola commissione abbia facoltà di giudizio insindacabile. Bisogna sindacare. Questo metodo è il solo controllo che può far paura ai commissari e minimizzare le loro arbitrarietà. Per quanto riguarda i professori universitari, tuttavia, ritengo che i concorsi debbano essere aboliti. Ciascuna università che ha un posto da coprire si deve prendere la piena responsabilità di darlo a un asino piuttosto che a un genio. Dopo qualche tempo, il numero degli asini sarà talmente grande da provocare la bancarotta di quella università. E così ben sia. Si tratta di vedere la responsabilizzazione dei dirigenti dell'università che ora si trincerano dietro i risultati delle commissioni: commissioni che, per la grande maggioranza, scelgono la mediocrità al posto dell'eccellenza». Gli Stati Uniti sono famosi nel mondo per l'efficienza e la trasparenza. Ci può spiegare come funziona? «Io lavoro alla University of California, che è statale e quindi pubblica. Quando nel mio dipartimento c'è un posto da coprire, tutti i componenti del dipartimento (professori ordinari, associati e assistenti) scelgono il candidato. Ciascun membro del dipartimento cerca di votare per il candidato che crede migliore, secondo la sua idea di eccellenza. Si formano delle coalizioni che, se non scelgono bene, a medio e lungo andare distruggono il dipartimento: è una questione di eccellenza sostenibile». L'Italia potrà percorrere la «via americana»? «Non vedo la volontà politica di un rinnovamento dell'università italiana nel senso dell'eccellenza. Non sono stato io a dirlo ma lo stesso Ministro Mussi: "Entrando nell'università ho trovato un discreto bordello". La stessa cosa si potrebbe dire del Ministero dell'Università e della Ricerca che ha una grande responsabilità nel disastro regnante. A mio parere, il Ministero dell'Università e della Ricerca dovrebbe essere abolito». 

Qualcuno potrebbe dire: se Paris ritiene che il sistema accademico italiano è marcio, lui come ha fatto a diventare professore? Possibile che alcuni diventino docenti in maniera limpida se il meccanismo è corrotto? «Che il sistema è marcio non lo dico solo io. Lo dicono molti professori che vi stanno dentro. Io fui bocciato due volte ai concorsi di economia agraria in Italia. La seconda volta quando ero già professore ordinario alla University of California. Mi ero presentato, senza sponsor, anche ai concorsi di analisi economica e di econometria (nel 1980) e i "grandi elettori" del tempo decisero all'ultimo minuto di dichiararmi idoneo in econometria. Non sapevo chi avrei dovuto "ringraziare" e così non ho ringraziato nessuno. Se in un cesto di mille mele ve ne sono cinquecento marce, e non le togliamo, che cosa succede?». Il «caso Paris» ha fatto discutere molto sulla stampa nazionale. Perché questa sua denuncia è rimasta isolata? «Perché, a parer mio, nell'università italiana regna la "sindrome di Stoccolma", cioè l'atteggiamento della vittima che si "affeziona" alla persona che l'ha vittimizzata e ne rimane plagiata. Le persone che fanno parte del sistema non hanno scampo. Devono sottostare alle regole non scritte ma ben risapute, pena l'impossibilità di fare ulteriore carriera. Le persone che sono rimaste fuori sono troppo scoraggiate». 

I suoi colleghi statunitensi come vedono l'accademia italiana? «I miei colleghi sono ambivalenti nei confronti dell'università italiana. Da una parte apprezzano moltissimo le punte di eccellenza che pure esistono. Dall'altra sanno che il sistema di reclutamento italiano impedisce a chiunque di loro di avere l'opportunità di essere assunto sulla base dei propri meriti e quindi non ci provano nemmeno». I ricercatori italiani godono di buona fama all'estero. Come può un «sistema malato» produrre professionisti validi? «Qui parliamo dell'autoselezione. I giovani che studiano, nonostante il disastro intellettuale e accademico della riforma Berlinguer, esistono. Poi vengono rifiutati dal sistema universitario che preferisce, in molti casi, parenti e portaborse. Allora questi giovani scelgono l'esilio. Per fare questo passo ci vuole carattere e determinazione, condizioni necessarie e, per molti versi, sufficienti per farsi apprezzare nel nuovo ambiente. Il disastro italiano chiamato "fuga dei cervelli" non sta tanto nel fatto che i giovani italiani se ne vadano all'estero ma nella realtà che non esiste un simile flusso contrario di giovani stranieri che cerchino lavoro in Italia». Crede, come spesso si dice, che la pubblica amministrazione trentina sia un'eccezione positiva del «sistema Italia»? «Dico la mia da osservatore distante che legge i giornali in internet. Non è possibile che quando in un sistema (n-1) elementi sono corrotti non lo sia anche l'ennesimo». 

Ha seguito la polemica del difensore civico del Trentino, che ha raccolto le lamentele di cittadini, i quali denunciavano un "sistema mafioso" della politica? Non si parlava della mafia della lupara, ma di un sistema che esclude, emargina, penalizza. Cosa ne pensa? «Il comportamento mafioso è quello di appropriazione indebita della cosa pubblica a fini di tornaconto personale. Quando si stabiliscono delle reti di interesse personale si cerca di escludere quelli che non stanno al gioco. Non mi meraviglierei se questo tipo di comportamento si fosse manifestato anche in Trentino». Quella che lei chiama «mafia accademica» esiste solo in Italia? «Qui in California non ne ho visto le tracce come quelle esistenti in Italia. La mafia academica italiana si è sviluppata perché favorita da una legislazione sui concorsi universitari che va totalmente rivoluzionata. Questa legislazione e questo sistema di reclutamento non esistono al di fuori dell'Italia».

(Pubblicato dal coblogger Condorbianco)