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sabato 29 settembre 2007

Metamorfosi


GUARDATELO, E' LUI...

brambilla47
...pronto per la prossima campagna elettorale.
AVETE VISTO, COSA SUCCEDE A ESAGERARE CON I LIFTING E I TRAPIANTI DI CAPELLI?

Appello


Diritti umani in pericolo in Myanmar. Diffondi l'appello di Amnesty International

AU 250/07
Myanmar: appello per cessare la repressione
Data di pubblicazione dell'appello: 27.09.2007
Status dell'appello: attivo


La sera del 25 settembre circa 300 persone sono state arrestate durante le proteste contro la giunta militare del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc), nell’ex capitale Yangon, nella seconda città più grande, Mandalay, così come a Meiktila, a Pakokku e a Mogok. Amnesty International ha appreso che diverse persone sono entrate in clandestinità per evitare l’arresto.

Alcuni arresti erano già avvenuti la sera del 24 settembre, ma la maggior parte ha avuto luogo nelle successive 36 ore, con l’intensificarsi del giro di vite da parte delle forze di sicurezza. Tra le persone arrestate vi sono tra i 50 e i 100 monaci di Yangon, il parlamentare Paik Ko e almeno un altro esponente del principale partito d’opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) guidata da Aung San Suu Kyi, diversi altri membri dell’Nld e altre figure pubbliche, tra cui il famoso attore e prigioniero di coscienza Zargana (conosciuto anche come Ko Thura). Amnesty International crede che questi e altri detenuti si trovino a rischio di tortura o altri maltrattamenti.

Fonti governative hanno confermato ai giornalisti che almeno tre monaci sono stati uccisi a Yangon: uno da un colpo d’arma da fuoco e gli altri due a seguito di un pestaggio. Fonti non ufficiali hanno fatto sapere ad Amnesty International che oltre 50 monaci sono rimasti feriti.

Nonostante l’alta tensione, migliaia di persone continuano a manifestare nelle strade contro il governo, guidate dai monaci, i quali hanno però voluto proteggere la popolazione chiedendo di non prendere parte alle dimostrazioni.

Sembra che le forze di sicurezza abbiano percosso i manifestanti con manganelli, utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla che sfidava il recente divieto di raduno di più di 5 persone e sparato colpi di avvertimento in aria.

Le proteste pacifiche hanno avuto inizio ad agosto, in risposta al brusco aumento del prezzo dei carburanti. I monaci buddisti, che hanno preso la guida delle proteste dopo che alcuni di loro erano stati feriti nella città di Pakokku, chiedono la riduzione del prezzo dei generi di prima necessità, il rilascio dei prigionieri politici e un processo di riconciliazione nazionale per risolvere le profonde divisioni politiche interne.

La mattina del 25 settembre, le autorità hanno iniziato il giro di vite sui manifestanti, introducendo un coprifuoco di 60 giorni dalle 21 della sera alle 5 del mattino e avvisando la popolazione che sarebbero stati adottati provvedimenti di legge contro i dimostranti.

Le violazioni dei diritti umani a Myanmar sono diffuse e sistematiche. Tra queste vi è l’utilizzo di bambini soldato e il ricorso ai lavori forzati. Inoltre, sono in vigore leggi che criminalizzano l’espressione pacifica del dissenso politico.

Alla fine del 2006, la maggior parte degli esponenti di primo piano dell’opposizione era agli arresti o sottoposta a forme di detenzione amministrativa e 1160 prigionieri politici erano detenuti in condizioni via via più dure. Gli arresti avvengono spesso senza mandato e i detenuti sono costretti a trascorrere lunghi periodi d’isolamento; la tortura è praticata regolarmente nel corso degli interrogatori; i processi nei confronti degli oppositori politici seguono procedure non in linea col diritto internazionale e agli imputati viene frequentemente negato il diritto a scegliere un avvocato, se non addirittura ad averne uno. La pubblica accusa fa ricorso a confessioni estorte con la tortura.

Per approfondimenti sulla situazione dei prigionieri politici in Myanmar: “Myanmar’s Political Prisoners: A Growing Legacy of Injustice” 
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA160192005 

Partecipa alla nostra azione, firma l'appello:
Firma on line questo appello

Stampa e spedisci gli appelli qui sotto gli indirizzi:
State Peace and Development Council (SPDC)
Senior General Than Shwe
c/o Ministry of Defence, Naypyitaw, Union of Myanmar

Foreign Minister
Nyan Win
Ministry of Foreign Affairs, Naypyitaw, Union of Myanmar
Fax: +95 1 222 950, +95 1 221 719

Attorney General
U Aye Maung
Office of the Attorney General, Office No. 25, Naypyitaw, Union of Myanmar
Fax: +95 67 404 146, +95 67 404 106

Brig-General
Khin Yi
Director General, Myanmar Police Force, Naypyitaw, Union of Myanmar

Testo dell’appello

Egregio____________,

Desidero esprimerLe la mia preoccupazione per le notizie sull’arresto di centinaia di monaci e altri manifestanti pacifici, tra cui il noto attore Zargana e il parlamentare Paik Ko.

Esorto Lei e il Suo governo a rilasciarli immediatamente e senza condizioni, a meno che non siano accusati di un reato di effettiva natura penale.

Le chiedo di assicurare che le persone arrestate siano trattenute solo in centri di detenzione ufficiali e che sia garantito loro l’immediato accesso agli avvocati, alle famiglie e a ogni trattamento medico di cui possono aver bisogno;

Le chiedo inoltre di assicurare che i detenuti non siano sottoposti a tortura o ad altri maltrattamenti;

Infine, Le chiedo di garantire a tutti i diritti alla liberta di espressione, associazione e assemblea senza timore di vessazioni, intimidazioni o detenzione arbitraria, in linea con gli standard internazionali sui diritti umani.

Distinti saluti.

venerdì 28 settembre 2007

Birmania


ROSSI DI SDEGNO

Questo blog aderisce all'iniziativa di Amnesty per il Burma.
Per qualche giorno avrei voluto colorarlo di rosso in segno di solidarietà verso un popolo che stanno opprimendo e massacrando; siccome non me la cavo benissimo con i template, non ci riesco. Ho quindi deciso che, a tempo indeterminato, ogni nuovo post  avrà colorato di rosso almeno il titolo.
L'ultima di oggi è che hanno tagliato internet; purtroppo hanno l'appoggio della Cina questa dittatura militare comunista.
Le sanzioni internazionali poco possono in questi casi dato che se ne fregano e anche gli embarghi non funzionerebbero con le troppe falle ai confini.
Però forse la  mobilitazione internazionale dei cittadini del mondo libero può fare qualcosa.
Tingetevi con noi di rosso almeno per un giorno.
Grazie a Dicke per avermi dato l'idea.

Un piccolo eroe birmano


ECCO L'INDIRIZZO DI UN VALOROSO...

...blogger birmano, teniamoci informati!

http://ko-htike.blogspot.com/

Birmania e complici


Da “La Stampa” di oggi
(su segnalazione della nostra coblogger Beatasolitudine, che ringraziamo):

Chi fa affari con il regime birmano

Solo gli Usa rispettano l'embargo, la Cina è il maggior fornitore di armi
CARLA RESCHIA

TORINO
Chi fa affari con la Birmania? Praticamente tutti, in un modo o nell’altro. Gli unici a rispettare in modo rigoroso l’embargo contro la giunta militare del Myanmar sono gli Stati Uniti. Peraltro assai criticati per questo in patria da diversi analisti, sia sotto il punto di vista economico, sia sotto il profilo strategico perché la loro assenza lascia campo libero alla Cina. Cina che in Myanmar fa, ormai da decenni affari d’oro. Ma sono in tanti, anche in questi giorni di proteste indignate, ad accorrere alla corte dei generali. Ecco, senza pretese di completezza un piccolo elenco degli affari in corso.
INDIA
Il ministro indiano per il Petrolio Murli Deora ha appena siglato un accordo da 150 milioni di dollari per ricerche di gas naturale in Birmania tra la OVL (ONGC Videsh Limited) e la MOGE (Burma's Myanmar Oil and Gas Enterprise) . Le ingenti riserve di gas naturale che si trovano nella provincia occidentale di Arakan e nella zona marina costiera antistante, stimate in circa 85 miliardi di metri cubi, sono una risorsa più che appetibile per l’India, affamata di energia. Nel suo sforzo di avvicinamento al Paese l’India sta costruendo infrastrutture come porti,linee ferroviarie e strade nel Paese, in competizione con il partner tradizionale del regime birmano, la Cina.

EUROPA

Secondo un rapporto diffuso da un gruppo di ong europee e internazionali, tra cui Rete Disarmo, Saferworld e Amnesty International, l’ Advanced Light Helicopter, un elicottero d’attacco prodotto in India e venduto alla Birmania, è realizzato con componenti essenziali di provenienza europea forniti da Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Svezia. Dal 1988 l’Unione europea ha vietato la vendita di armi alla Birmania per protestare contro la dittatura militare.
A parte questo divieto formale, non c’è di fato alcun impedimento per le aziende europee che vogliano fare affari con la Birmania. In proposito c’è solo una posizione comune,adottata nel 1996 che però non prevede alcuna misura coercitiva. In base ad essa conti aperti dal regime presso le banche europee avrebbero dovuto essere congelati, ma questo non è mai stato fatto. Così, gli investimenti europei in Birmania nell’ultimo decennio sono cresciuti, soprattutto nel settore dell’energia. Secondo stime del FDI (Foreign Direct Investment).
Nel 1999 l’Unione europea figurava nel 43% di tutti gli investimenti effettuati in Birmania e nel 2000 questa percentuale era salita al 71% Nel complesso tra il 1988 e il 2002 in Birmania ci sono stati investimenti europei per almeno 4 miliardi di dollari. Secondo un elenco compilato dalla Global Unions in Birmania operano 104 imprese europee.

FRANCIA

La Total, presente in Birmania dal 1992, gestisce importanti giacimenti di gas naturale nel campo di Yadana nel sud del Paese e ha prodotto nel 2006, 17,4 milioni di metri cubi di gas al giorno destinati ad alimentare le centrali elettriche della Thailandia. Total, che è stata spesso accusata negli ultimi anni di sfruttamento dei lavoratori costretti a «lavori forzati» prossimamente si dovrà difendere dall’accusa di «schiavismo» davanti alla giustizia belga.
CINA
La Cina è il maggior fornitore di armi della Birmania. Il commercio fra i due Paesi è salito nel 2006 a 146 miliardi di dollari, più 20%rispetto al 2005. La Cina ha costruito nel Paese ponti, centrali elettriche, stadi e fabbriche, sfruttando in cambio energia e materie prime. L’export dalla Cina alla Birmania è cresciuto del 50% nei primi sette mesi dell’anno, per un totale di .964 milioni di dollari. Secondo i dati di EarthRights International, nell’ultimo decennio 26 multinazionali cinesi hanno sviluppato grandi progetti in Birmania. Tra questi, la costruzione di un oleodotto e un gasdotto di 2.380km dalla provincia di Arakan allo Yunnan. La Cina ha fornito alla Birmania armamenti per due miliardi di dollari, rendendola così la seconda potenza militare del Sudest asiatico dopo il Vietnam, in termini di capacità, anche se molto più sofisticata. In 2003, la Cina ha dato assistenza economica alla Birmania per 200 milioni di dollari.
Ma la parte più importante del legame fra i due Paesi non risultata dalle statistiche e riguarda l’immigrazione di imprenditori cinesi: Mandalay, la culla della cultura birmana è, al 20% popolata da emigrati provenienti dallo Yunnan, Lascio, il centro più importante del Nord è al 50% cinese.
La Cina sta anche progettando la costruzione di quattro grandi dighe sul fiume Salween, nell’Est brimano. Oltre 100 mila abitanti delle zone tribali, Karen, Shan e Karenni verranno evacuati e la sopravvivenza stessa di un piccolo gruppo etnico, gli Yntalai, circa mille persone, è a rischio. Le dighe forniranno oltre 16 mila megawatt di energia che verranno vendute, fra gli altri, alla Thailandia. Saranno realizzate dalla compagnia statale cinese Sinohydro in collaborazione con l’omologa thailandese EGAT.

RUSSIA

La Russia ha stretto un accordo per la costruzione di un centro di ricerche nucleari in Birmania. Comprenderà un reattore ad acqua leggera da 10 MW e le attrezzature necessarie alla lavorazione e allo stoccaggio delle scorie oltre a un laboratorio medico per la produzione di isotopi. Mosca provvederà all’addestramento di 350 specialisti addetti all’impianto.
NARCOTRAFFICO
La Birmania è il secondo produttore mondiale di oppio dopo l’Afghanistan e fornisce l’8% della materia prima. Produce inoltre una quantità di sostanze stupefacenti destinate al mercato illegale, in particolare anfetamine.

Dalla Birmania



IN PRIMO PIANO
BIRMANIA: ITALIANA DA YANGON, PESTAGGI E ARRUOLAMENTI FORZATI
(AGI) - Yangon, 28 set. - All'indomani della feroce repressione scatenata dalla giunta del Myanmar contro i manifestanti, a Yangon regna una calma apparente, ma in realta' i pestaggi sistematici continuano, e in molte zone della vecchia capitale birmana sono in corso rastrellamenti casa per casa. I soldati irrompono nelle abitazioni private alla ricerca di attivisti o semplici simpatizzanti; se li trovano, li trascinano via immediatamente. Nemmeno i sobborghi sono risparmiati: i militari occupano i villaggi e costringono con la forza ad arruolarsi i piu' poveri, i piu' diseredati; focolai di protesta sono infatti segnalati in numerose altre localita' dell'ex Birmania, e l'Esercito non ha abbastanza uomini per estendere la caccia agli oppositori. Questa e' soltanto una parte della drammatica testimonianza di un'italiana residente a Yangon, che e' avventurosamente riuscita a contattare per telefono l'Agenzia Italia: in gran fretta, prima che le linee con l'estero siano interrotte. La signora non ha nome, non dice nulla di se', del suo lavoro, della propria cerchia: troppo pericoloso, sottolinea, anche se tutto sommato gli stranieri rischiano al massimo l'espulsione. Forse. L'uccisione di un fotografo giapponese, ieri, sembra dimostrare che i rischi sono ben maggiori.
  L'anonima connazionale racconta che alcuni amici, sia locali sia espatriati, hanno visto il reporter a terra, esanime: sono rimasti sgomenti, avevano le lacrime agli occhi.
  Si dice che almeno altri due cronisti siano rimasti vittime degli assalti delle forze di sicurezza. Le vittime, ufficialmente da dieci a quindici nell'arco di due giorni, sono pero' in realta' molte di piu': diverse decine, denuncia l'italiana. I civili sono obbligati a firmare dichiarazioni di morte naturale per i congiunti periti sotto le percosse e o causa dei proiettili sparati da soldati e poliziotti. Gli ospedali sono presidiati, e chiunque si presenti per farsi medicare e' subito arrestato.  La medesima signora ieri stava facendo la spesa in un centro commerciale, davanti al quale erano state erette barriere con sacchi di sabbia, dove i militari avevano gia' preso posizione. A un certo punto la clientela e' stata avvisata che i negozi si apprestavano per chiudere, stava per arrivare un corteo di monaci buddhisti, e che bisognava affrettarsi a uscire. All'esterno, lei stessa ha visto passare camion carichi di soldati, le armi con il colpo in canna puntate lungo i bordi della strada, pronte a fare fuoco.
  Turisti a parte, non sono molti gli italiani che vivono a Yangon: da quaranta a cinquanta. Sono tutti in contatto con l'ambasciata d'Italia, ma anche tra loro e con le altre comunita' di espatriati; si confortano e s'informano a vicenda sugli sviluppi della situazione, ma soprattutto cercano di aiutare come possono gli amici birmani. Essere identificati sarebbe una iattura soprattutto per i questi ultimi, che frequentano la testimone, i suoi conoscenti, i suoi colleghi: il regime non tollera piu' che qualche notizia sull'ennesima mattanza trapeli oltre confine, e punta ad avere la popolazione alla propria merce'.
  Come dimostra, prosegue la testimone italiana, il fatto che l'accesso a Internet, in mattinata ancora possibile, sia ormai stato tagliato, e non si ci possa dunque piu' servire nemmeno della posta elettronica, se non sporadicamente. Il regime e' intervenuto un po' tardi, dal suo punto di vista, per bloccare il flusso delle notizie, ma adesso ha capito l'errore e sta rimediando. L'atmosfera resta pesante per tutti, in citta': attraverso una specie di tam-tam rigorosamente non ufficiale, agli stessi stranieri e' stato notificato una sorta di coprifuoco. Per la propria incolumita', era il tenore del messaggio, oggi meglio rimanere dove si e' fra le 13 e le 17 ora locale, dalle 8,30 alle 13,30 in Italia. Chi e' a casa, non esca; ma se si trova altrove, e' meglio che non provi a raggiungerla prima della scadenza indicata. (AGI)

Come immaginate, non ho potuto verificare la fonte...

giovedì 27 settembre 2007

Ipocriti


PERCHE' NON LO LASCIATE PIU' PROTESTARE?
rangoon



PERCHE' ADESSO NON PROTESTA?
diliberto

Vaticancro


PERCHE' NON LO LASCIATE PIU' PROTESTARE?
rangoon



PERCHE' ADESSO NON PROTESTA?
ratzinger

(Ma avete visto come assomiglia al povero Paolo Panelli?)

Birmania


Riporto dal sito del “Corriere”:

Una dittatura tra superstizione e ferocia
Il generale ha mostrato spietatezza nell'eliminare gli avversari e tende ad apparire il meno possibile in pubblico ROMA - Un bizzarro miscuglio di Pol Pot e Augusto Pinochet. Questo è per tanti osservatori internazionali il generale Than Shwe, 74 anni, capo della giunta militare golpista che opprime Myanmar, l’ex Birmania, teatro in questi giorni di una contestazione collettiva guidata dai monaci buddisti di Yangon (Rangoon). L’aspetto del capo del Consiglio statale per la pace e lo sviluppo (SPDC), questa la stridente denominazione con cui si definisce la giunta golpista, ricorda quella del dittatore cileno, con la sua divisa appesantita da medaglie. La poca propensione ad apparire, invece, ricorda quella del capo dei Khmer Rossi. A tutti e due l’accomuna la spietatezza nell’eliminare gli avversari e nell’opprimere il proprio stesso popolo. Reporters sans Frontieres, l’organizzazione non governativa che si batte per la libertà di stampa, lo annovera tra i "Predatori" del diritto d’informazione e lo descrive come un uomo spesso affetto da "crisi di paranoia", la cui voce non è conosciuta dal suo popolo.
LA NUOVA CAPITALEAncor meno oggi, dopo che dal 2005 ha letteralmente deportato l’intera amministrazione dalla capitale storica a Pyinmanaw, la nuova "capitale": un villaggio malsano nel centro del paese. Il passo, da un lato, è servito a piegare la volontà di tanti esponenti dell’amministrazione civile, in cui serpeggia l’insoddisfazione e, quindi, i germi d’una possibile rivolta. D’altro canto, secondo diversi osservatori, sarebbe una specie di preludio d’una restaurazione monarchica, in cui Than Shwe diventerebbe re. -
SUPERSTIZIONE E FEROCIA - Superstizioso in maniera ossessiva, il


generale nato nella zona di Mandalay ha iniziato la sua ascesa nell’esercito, facendo parte tra il 1953 e il 1960 del Dipartimento per le operazioni psicologiche e la propaganda. Poi partecipa alla repressione della guerriglia dell’etnia Karen, segnalandosi per una particolare ferocia. E’ nel 1962 che sale sul carro giusto, unendosi al colpo di stato capeggiato dal generale Ne Win. Diviene, cioè, uno dei protagonisti degli eventi che pongono fine al sogno democratico della Birmania post-indipendenza, iniziato col padre della patria Aung San, assassinato nel 1947. Aung San è il padre del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, che Than costringe agli arresti domiciliari.

thanshwe

Mio commento: senti, generaluco del cavolo, figlio di puttana (perché sei un figlio di puttana, non ti ammantare di giustificazioni ideologiche): leggiti bene "Il Capitale" o "Il Manifesto del partito comunista" (lo ha scritto Marx, non so se hai presente, imbecille), e dimmi dove cavolo c'è scritto che per il bene del popolo si fanno le cose che stai facendo da vent'anni.
SEI UNA FACCIA DI CULO, NON UN COMUNISTA!

mercoledì 26 settembre 2007

Si accomodi, Silvio...


E SILVIO SE LA RIDE


berlusconi se la ride


Amici miei, a me non piace dire “l’avevo detto”, puzza di saccenteria.
In questo caso, però,  mi tocca. E non lo faccio volentieri. Se i dati dei sondaggi mi avessero smentito, sarei il primo a rallegrarmene, Ma purtroppo non è così.
Leggo sul “Corriere della Sera” di oggi un articolo, a firma di Francesco Verderame, che vi riporto qui, brevemente.

Effetto Grillo, L’Unione cala ancora
Maggioranza al 42%, Cdl al 56. Berlusconi: Il fattore G ci aiuta

Roma – Il “vaffa-clima” è come uno tsunami dopo il terremoto. Si abbatte sul governo e sul centrosinistra con una tale furia da suscitare un vero e proprio “allarme democratico” a Palazzo Chigi, al Campidoglio e in quasi tutti i partiti dell’Unione. (…) In una settimana, il centrosinistra ha ceduto quasi un punto e mezzo, perdendo quanto aveva faticosamente recuperato da luglio: oggi la coalizione vale appena il 42,1%. E ciò che l’Unione perde, lo guadagna il Poloche solo due settimane fa aveva preso una china molto negativa, cedendo quasi due punti percentuali. Ora è tornato a salire, e dal 54,8% di consensi è arrivato al 56,1%.
Il motivo di questa inversione di tendenza è spiegato nel “commento” a corredo dei dati demoscopici, elaborati da un’importante società di ricerca(…) Gli analisti ritengono sia dovuto con ogni probabilità “alle polemiche sorte dopo la performance di Grillo che hanno coinvolto soprattutto il governo Prodi”. (…) E se il “fattore G” viene temuto dall’Unione, è invece vezzeggiato da Berlusconi, perché “Grillo ci aiuta”, dice il Cavaliere dati alla mano: a beneficiarne sono infatti Forza Italia (che dal 28,9 sale al 29,3%), AN (dal 15,4 al 15,8%) e la Lega (dal 5 al 5,3%). Soltanto l’UDC scende ancora di due decimali, al 4,6%.
L’ex premier (…) ne ha spiegato i motivi ai suoi: “Anche se sono sceso in campo tredici anni fa, la mia immagine è diversa da quella dei politici di professione. La gente mi vede come un imprenditore, un editore e un presidente di una squadra di calcio vincente.”
Insomma, il vaffa-day ha reso euforico Berlusconi, e non perché il comico abbia spostato consensi dall’Unione al Polo, ma perché – come dice il capo del PRI, Nucara – “con le sue sparate ha alimentato l’astensionismo nel centrosinistra”. I dati sono impressionanti: oggi il partito del non voto è al 33,2%, ed è in aumento.

So di dire una cosa sgradevole. Ma si sta preparando il ritorno del silvietto, compagni. Pensateci bene. Avete ragione (abbiamo ragione) a incazzarci insieme a Grillo. Ma se ritorna a Palazzo Chigi questo qui, poi non ci lamentiamo, eh??

martedì 25 settembre 2007

Dilettanti allo sbaraglio


POVERO LATICLAVIO 

 Giaretta

Leggo, su "La Repubblica" di oggi:

Ritirato il piano anti-privacyROMA
- Stop agli attacchi alla privacy. Contro le norme che minacciano di minare alle fondamenta la tutela dei nostri dati personali, si levano gli scudi del Garante, dei sindacati e delle associazioni dei consumatori. E la politica? All'inizio sta a guardare, pochi sembrano infatti disposti a strapparsi le vesti a difesa della riservatezza dei cittadini. Poi in serata la svolta: gli emendamenti vengono ritirati. (…)
Poi, in serata, arriva la notizia della retromarcia: il senatore dell'Ulivo, Paolo Giaretta, decide infatti di ritirare gli emendamenti al ddl sulle liberalizzazioni, con cui chiedeva la rimozione degli obblighi di tutela della privacy che gravano sulle imprese. "Non è nelle mie intenzioni - afferma il senatore - promuovere colpi di mano in Parlamento in materie delicate come quelle che riguardano la tutela dei diritti individuali. Ma - aggiunge - sono convinto che va affrontato con urgenza il tema della giusta proporzione tra la finalità della tutela dei diritti e gli oneri burocratici che gravano sulle attività economiche. E' una proporzione che il buon legislatore deve sempre tenere presenti". Secondo Giaretta, "nel recepimento delle Direttive europee in materia di privacy vi è stato un eccesso di zelo e sono stati introdotti numerosi adempimenti cui sono tenute le nostre imprese, mentre quelle di altri Paesi europei hanno oneri burocratici minori. Questo è il problema che va affrontato. Gli emendamenti - conclude - avevano l'unica finalità di aprire questo dibattito e comunque, se approvati, non avrebbero avuto gli effetti catastrofici paventati".

Comecomecome? Senatore, sta scherzando vero? Lei introduce un emendamento che se approvato va contro dei diritti civili sanciti dall’Unione Europea, e dice di farlo solo per aprire un dibattito?
Così, come provocazione?
Senatore, la Costituzione prevede Leggi, decreti Legge, disegni di Legge, ma che io sappia la Legge-dibattito ancora no.
Senatore Giaretta, non trasformiamo il laticlavio in una giarettiera.

lunedì 24 settembre 2007

Tuttugualismo


UN MIO PENSIERO, E BASTA.
UNA PROVOCAZIONE.
(ATTENDO COMMENTI)

Non so più come spiegarmi, ragazzi.
Grillo? Ma certo che ha ragione, quando protesta.
L’immoralità della “casta”, comune da destra a sinistra? Ma certo.
Lo schifo profondo, come cittadino, che mi prende quando penso che mi tocca votare per alleati di Mastella  (il quale si sta palesemente preparando a saltare di nuovo dall’altra parte)? Chiaro.
Il desiderio impellente di mandare a farsi fottere tutta questa classe politica di imbelli, imbecilli, corrotti?
La consapevolezza che non è soltanto a destra, la responsabilità di chi si è inventato comunità montane a livello del mare?
Sicuro.
Il vomito, il rigetto, che mi prende quando scopro che persino Di Pietro ha “piazzato” suo figlio?
Ma è evidente!

Solo, faccio una domanda: che si fa? Si smette di votare? Bella prospettiva. Il risultato immediato è il consegnare il Paese a una destra (questa destra, beninteso, non mi scandalizzerebbe affatto il ritorno al potere di una destra seria, se ne avessimo una), a una destra, dicevo, pronta a fare il colpo di stato (perché come lo chiamate altrimenti il "parto" dei sedicenti saggi di Lorenzago, che per fortuna abbiamo fatto abortire con il referendum?).

Ne faccio un’altra, di domanda. Ci si accoda a uno come Grillo, che di proposte ne ha fatte tante, ma parecchie cazzose, scusate il termine (ad esempio non è vero che la TAV non abbatte l’inquinamento da TIR, ma tant’è, oggi è molto impopolare contraddire Grillo, o accetti tutto ciò che dice o sei uno “che dorme”). Peccato che Grillo stesso non sappia poi cosa proporre, di fattivo, poi. Fa le liste civiche. Lasciando perplessi molti dei suoi seguaci. Lo useranno. Lo stanno già usando, poi lo butteranno nel cesso, anche lui.

Mi si dice, anche da amici, che oramai Berlusconi è sconfitto e che continuare a battersi contro di lui è tafazzistico. Io non lo so.  Non so a voi, ma il nanetto a me fa ancora una paura della Madonna.
E se guardo a sinistra mi vengono i brividi, quando leggo che Veltroni è sponsorizzato dall’inciucista per eccellenza, D’Alema.
Mi si dice, anche da amici, che faccio una battaglia di retroguardia: l’importante non sarebbe cercare la vittoria della sinistra, ma il ritorno della legalità. Giusto, perdio! Peccato, aggiungo, che io non sono di sinistra, almeno non nel senso che mi viene attribuito, proprio da sinistra.
Peccato, che tra un idraulico che non vuole farmi la fattura, e un mafioso che minaccia di bruciarmi il negozio, se proprio devo scegliere, scelgo il primo. Reprimendo il vomito, certo. Ma non posso che scegliere il primo.
Mi si dice, anche da amici, che IO sono vittima del Berlusconismo, perché cadrei nel suo stesso tranello, che chi non è con lui è contro di lui, e che - visto che oramai è sconfitto - bisogna ignorarlo.
Ma chi lo dice, che è sconfitto?
Ma chi si sente, oggi, di dire che il nanetto si ritirererà in buon ordine?
Ma ve lo vedete, risolvere il conflitto di interessi domattina, senza fare i suoi giochetti?
Ma ve lo vedete, non tentare di fare il burattinaio da dietro le quinte?
Ma ve lo vedete, a non tentare con un prestanome qualunque a ritentare di porre in essere i disegni di Gelli?

Amici, sono mesi e mesi che vado dicendo che non vedo l’ora di non aver più paura di questa destra, di questo Berlusconi, per potermi permettere finalmente di mandare a cagare Diliberto, Bertinotti, D'Alema, Amato e compagnia.

Ma non posso.
Perché ricordatevelo, amici: verrà presto il momento in cui ci ritroveremo un regime di destra al potere, un regime similbushiano, sponsorizzato magari da un Berlusca che paga dal di fuori i suoi uomini di paglia, e questo proprio in virtù del fatto che, da anime belle, ci siamo illusi, nelle urne, che Berlusconi è sconfitto.

E sapete perché? Perché avremo detto la verità. Perché avremo detto che anche a sinistra c’è lo schifo, la corruzione.

Con una differenza. Che a sinistra, di fronte a questa idea, ci si astiene.
A destra, nella destra italiana di oggi, di fronte all’idea di avere un mafioso a Palazzo Chigi, piuttosto che un comunista, si corre alle urne.
Mi si dice che bisogna ribellarsi.
Ma come, cazzo?

Cosa facciamo, la rivoluzione? E allora ditel.
Perché l’alternativa qual è?
E’ lo sciopero del voto, ecco qual è.
Ma state certi che  sciur Brambilla e le camicie verdi, i seguacini della falce e martello, i clientelli di Mastella, quelli lì non si astengono. Quelli lì votano.
E ci ritroviamo Berlusconi (o un suo prestanome) al governo per i prossimi vent’anni.

domenica 23 settembre 2007

Onestà


UN ESEMPIO: IL QUIRINALE.

Capire, vuol dire distinguere.
Se uno non distingue un lombrico da un pitone, può credere a un tale che gli racconta che i rettili sono invertebrati.
Se non voglio distinguere il mago Otelma (si scrive così?) da Grillo, mi faccio convincere che Grillo è un imbonitore di piazza dello stesso livello.

E allora, per distinguere.
Scopro che i costi del Quirinale sono occulti. Sissignori. Da sempre. Non c’è stato un Presidente della Repubblica – dicasi uno – che abbia reso trasparente e pubblico il bilancio dell’Istituzione che rappresenta.
Si sa solo lo stanziamento finale, se ben capisco da quanto è riportato ne “La Casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, capitolo tre. Lì mi si dice (e non ho motivo alcuno di dubitarne), che il costo della macchina Quirinale è lievitato fino al giorno d’oggi, 2007, anno in cui essa macchina costa il quadruplo (senza trasparenza) di Buckingham Palace, per dire.

Ora uno può dire: ma allora anche i Presidenti della Repubblica son tutti ladri?.
Vero nulla.  Apprendo che Enrico De Nicola  guadagnava (anni ’40) 11 milioni di lire l’anno, e che oggi, al netto dell’inflazione, l’appannaggio del Presidente è uguale.
In valuta di oggi, Einaudi riceveva 185 mila Euro (1948), Saragat 255 mila (1965), Cossiga 210 mila e – a fine mandato, nel 1992 – 185mila.
Scalfaro? 211 mila, però chiese e ottenne di pagare l’Irpef  come tutti (viene da chiedersi se per rompere una continuità evasoria rispetto ai predecessori, o per reagire a tentativi di “seduzione” da parte della politica).
Ciampi non adeguò mai, in sette anni, il suo compenso (218 mila, che è lo stipendio lordo di Napolitano).

Quale la morale?
Che di uomini onesti ce ne sono, ma che il sistema li mette nella condizione di non nuocere.
Magari li manda al Quirinale.
E’ uno strano posto, dietro alle Quattro Fontane, a due passi dal mercato.
Cos’hai capito? Il Mercato di Traiano, volevo dire.

mercoledì 19 settembre 2007

Primarie del PD - 5


ECCO I CANDIDATI ALLE PRIMARIE DEL PD E LE LORO DICHIARAZIONI D'INTENTI
Quinta puntata: ROSY BINDI

Il nostro cantiere democraticoAncora
Oggi presento la mia candidatura alla guida del Partito democratico. Lo faccio con grande senso di responsabilità chiedendo a tanti di collaborare a questo entusiasmante compito.
Non ho voluto offrire qui un programma né un manifesto, ma brevi riflessioni lasciate volutamente aperte, perché a sostegno della mia candidatura non chiedo soltanto una firma, ma contributi, esperienze e idee che arricchiscano questa fase del nostro lavoro comune.
Nelle prossime settimane, attraverso incontri, convegni, siti internet e i laboratori che si apriranno nei 475 collegi elettorali, potremo liberare le energie di una vera fase costituente e portare, tutti insieme, a compimento il programma per il Partito democratico.

Un partito nuovoAncora
Abbiamo una grande ambizione: restituire dignità e autorevolezza alla politica. Vogliamo farlo attraverso la costruzione di un partito nuovo.
Proprio nel momento in cui il sistema dei partiti appare screditato e i cittadini sentono la politica distante, noi scommettiamo su un’idea nuova di partito e di politica.
La società italiana è ferita, sono aumentate le disuguaglianze e si è allargata la distanza fra i cittadini e le istituzioni. Qualcuno pensa che la risposta sia l’antipolitica e l’alimenta attraverso un populismo mediatico e un nuovo corporativismo sociale e geografico. È invece solo la politica, rimotivata e adeguata alle nuove situazioni, che può davvero aiutare a risolvere i problemi e restituire la voglia di futuro al Paese.

Un partito pluraleAncora
Il Partito democratico non sarà la semplice fusione dei partiti fondatori. Già ora l’Ulivo è qualcosa di più. Per dar vita a un partito nuovo è necessario unire le culture politiche della liberaldemocrazia, del cattolicesimo democratico e della sinistra democratica, ma anche accogliere i tanti fermenti nati nel nuovo secolo attorno ai temi della pace, della democrazia partecipativa, dello sviluppo sostenibile e dei diritti.
Mentre quelli del Novecento erano partiti identitari perché rispondevano a società culturalmente omogenee, oggi noi siamo chiamati a costruire un partito plurale perché viviamo in una società caratterizzata dalla frammentazione etica e culturale. Una frammentazione che si trasferisce nelle istituzioni, crea conflitto al loro interno, paralizza le decisioni, e rischia di inibire l’azione di governo.
Il partito plurale che dobbiamo costruire insieme deve quindi assumersi la fatica e la responsabilità della sintesi, in modo da rendere le istituzioni libere dai conflitti e capaci di decidere.
Un partito davvero plurale non è un partito che include una parte in un’altra, non giustappone le diversità, non oscura le differenze. E’ invece capace di affermare una forte identità in virtù di una sintesi autentica tra culture e punti di vista diversi che devono continuare a vivere.
Un partito davvero plurale trova nella sintesi tra le tante tonalità presenti la condizione indispensabile per essere unito e fare le scelte necessarie. E quanto più quelle scelte appaiono innovative e coraggiose, tanto più è necessario l’apporto di tutti.
Tutti hanno pari dignità, tutti hanno la responsabilità di offrire un contributo che peserà e conterà in una decisione comune frutto di una sintesi più avanzata e convincente del proprio punto di vista
Per questo motivo la collocazione internazionale del nuovo partito è una questione fondamentale. Il Pd italiano ha l’ambizione di creare a livello europeo una casa politica nuova per tutte le culture democratiche che devono attrezzarsi a rispondere alle domande nuove di questo secolo: domande di giustizia, nuove questioni poste dalla scienza, nuovi interrogativi etici e nuove sfide antropologiche.
Nessuno disconosce il valore dell’esperienza socialdemocratica europea ma il mondo è incalzato da nuove domande di democrazia, di libertà e di giustizia sociale alle quali solo l’unità delle culture riformiste può dare a livello mondiale risposte, portando ad unità percorsi e storie che hanno interpretato i valori democratici in tutti i continenti. Noi non ci arrendiamo allo schema oramai ingessato del Parlamento europeo.

Un partito democraticoAncora
A differenza di altre Costituzioni, (quella francese affida ai partiti un semplice ruolo elettorale, quella tedesca li limita a strumenti di manifestazione della volontà politica del popolo) l’originalità della nostra Costituzione è quella di individuare nei partiti lo strumento a disposizione dei cittadini per determinare la politica nazionale con metodo democratico. Questo strumento che negli ultimi due decenni è stato depotenziato, fino ad essere delegittimato dall’ultima legge elettorale fondata sull’idea implicita che l’unica relazione tra potere politico e cittadini sia la tele-comunicazione, deve essere rinnovato.
I partiti sono una palestra insostituibile di democrazia per un Paese. Se fallisce il metodo democratico dentro i partiti è a rischio anche la democrazia nella società. Ciascuno di noi è chiamato ad un’innovazione radicale del proprio modo di concepire il partito, la militanza, la responsabilità politica.
Il Partito democratico non nasce per azzerare le storie, personali e collettive, le biografie, le radici di ognuno di noi. Ma non nasce neppure per garantire il nostro passato e il nostro presente con la rassicurante continuità di un’organizzazione e di una forma partito che non corrispondono più né alle aspettative dei cittadini né agli obiettivi che ci siamo dati.
Il percorso che stiamo sperimentando in vista dell’appuntamento del 14 ottobre, dovrà essere il frutto di una larga consultazione, del coinvolgimento di tutti, di ascolto paziente e vero. Anche se il regolamento elettorale che è stato approvato favorisce chi può contare su una forte organizzazione, siamo certi che saranno in moltissimi, donne e uomini, e soprattutto giovani ad essere i protagonisti di questa nuova stagione.
Fin d’ora possiamo impegnarci su alcuni punti. Un partito che contrastando radicalmente le patologie del passato sia costruito sulla base della partecipazione vera e democrazia interna. Un partito aperto ma anche con una militanza e un radicamento nel territorio. Capace di rappresentare la ricchezza e la diversità che caratterizza il popolo italiano. Un partito nazionale e federale che riconosce il valore dell’autonomia delle sue espressioni locali.
Il carattere Nazionale e unitario del Pd dovrà essere assicurato da una leadership rappresentativa e plurale: il nostro non sarà mai il partito del leader.

Per una nuova laicitàAncora
Se il Pd è pensato e progettato al servizio del bene del nostro Paese, capace cioè di guidare il rinnovamento della democrazia e superare in una nuova sintesi le vecchie appartenenze, dovrà anche diventare la casa e la scuola di una nuova laicità, il luogo in cui tutti i cittadini possano sentirsi rappresentati, a qualunque fede, etica e cultura appartengano.
Oggi si può guardare a una nuova laicità che si faccia carico delle diversità etiche, culturali e religiose, all’interno delle quali viviamo quotidianamente. Mentre si avverte una crescente insofferenza per il conflitto continuo e la demonizzazione reciproca, è maturata la consapevolezza che la laicità non è il laicismo, non è negazione o indifferenza sui valori, ma confronto persuasivo e faticosa ricerca di un bene condiviso e storicamente realizzabile.
Il pluralismo etico, religioso e culturale che caratterizza la società italiana, e che va ulteriormente arricchendosi per la presenza di nuovi cittadini stranieri, impone non solo un civile confronto tra i credenti di diverse appartenenze religiose, e un dialogo tra credenti e non credenti, ma ci spinge alla ricerca di una sintesi più avanzata di dialogo e collaborazione, nel quadro delle linee tracciate dalla nostra Costituzione.

Per un bipolarismo maturoAncora
Il Partito democratico ha la funzione di portare a compimento una lunga transizione politica, realizzando una matura democrazia dell’alternanza, in grado di assicurare governabilità e stabilità.
All’Italia serve un bipolarismo fondato su chiari rapporti istituzionali, in cui chi vince governa e chi perde le elezioni sta all’opposizione fino al termine della legislatura o fino a nuove elezioni.
Il Pd è un partito che investe nel valore di una democrazia governante e si mette al servizio dell’interesse generale.
Un partito collocato al centro del centrosinistra per portare tutto il centrosinistra al governo, senza ambiguità e tatticismi nella politica delle alleanze e non invece un partito che all’interno del centro sinistra si pensa come parte contrapposta ad altre parti, aperta ad un confronto autonomo con tutto o parti del centro destra.
Per questo è indispensabile cambiare questa legge elettorale e realizzare un nuovo assetto istituzionale, muovendoci con equilibrio, senza tradire la Carta costituzionale che la destra italiana voleva stravolgere e che ci è stata restituita con un referendum popolare.
Il Paese ha bisogno di completare l’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, riconoscendo alle regioni e ai governi locali una autonomia fiscale pur nel rispetto della solidarietà nazionale. Ma è anche necessario rafforzare le responsabilità e i poteri dell’esecutivo dando ai cittadini la possibilità di scegliere senza tuttavia prevedere l’elezione diretta del capo del governo.

Il Pd e il governo dell’ItaliaAncora
L’orizzonte temporale di un partito è ben più ampio dei cinque anni di una legislatura, cui è legata l’attività di un governo.
E mentre la funzione di un partito è quella di costruire il consenso, affezionare alla democrazia, alimentare partecipazione e condivisione nel Paese, il governo attua il proprio mandato di legislatura, esercitando e costruendo le necessarie mediazioni nella coalizione.
Per questo un programma di un partito si colloca in un orizzonte diverso da quello di un programma di governo. Esprime una visione del Paese, indica una prospettiva di lungo periodo che si offre come linfa vitale ma non unica dell’azione di governo.
Oggi il programma del Partito democratico parte da un sostegno forte e convinto al Governo guidato da Romano Prodi, senza ambiguità e tatticismi nel rispetto del patto solennemente sottoscritto da tutti i partiti dell’Unione di fronte agli elettori per un governo di legislatura. E disegna una prospettiva per il futuro.

Per uno sviluppo sostenibileAncora
L’Italia è stata a lungo un paese fermo, che deve affrontare tanti problemi: le disuguaglianze tra Nord e Sud, le poche risorse destinate all’innovazione a alla ricerca, le carenze nelle infrastrutture, la bassa competitività del nostro sistema produttivo, la scarsa mobilità sociale.
L’Italia deve fare scelte forti e impegnative per i giovani, i poveri, i fragili e i bambini, e può farlo se la politica torna ad essere credibile. È questo il compito di un partito nuovo, che in primo luogo restituisce autorevolezza alla politica perché la politica possa risvegliare il senso di responsabilità e lo spirito di collaborazione in ogni parte della società.
Queste scelte sono possibili solo se c’è condivisione e solidarietà.
Nessuno pensi di risolvere separatamente la questione settentrionale dalla questione meridionale.
Nessuno pensi di risolvere il conflitto tra le generazione mettendo i padri contro i figli.
Queste scelte sono possibili se insomma tutti, le istituzioni, le imprese, i sindacati, la cultura, la comunicazione, le famiglie faranno la propria parte.
L’Italia sarà più libera, più ricca e più giusta se il Pd assumerà il riformismo come una costante attitudine al cambiamento.
Rimuovere i vincoli strutturali allo sviluppo a cominciare da quelli di finanza pubblica, far crescere la dotazione infrastrutturale e la rete dei servizi per le imprese, agevolare l’accesso al credito, riqualificare il sistema di istruzione e formazione, combattere le posizioni di rendita e monopolio, rappresentano gli assi di una politica economica in grado di far recuperare all’Italia il divario rispetto ai partners europei.
Il Pd è chiamato inoltre a comporre le istanze, che hanno talora portato all’immobilismo, provenienti dal mondo dell’industria con le istanze ambientali fatte proprie dai cittadini.
Il conflitto si può ridurre se affianchiamo ad un grande sforzo di investimenti in tecnologia, un forte impegno nelle politiche che incentivano la qualità ambientale.
Qualità e sostenibilità sono le caratteristiche dello sviluppo del paese che il Pd si impegna promuovere anche attraverso la tutela dei beni pubblici come l’acqua, l’aria e il patrimonio culturale e naturale.

Equità ed efficienza nei servizi pubbliciAncora
L’esperienza europea insegna che l’attenzione alle esigenze delle persone, il perseguimento della giustizia nell’economia ha costituito un fattore decisivo di successo del nostro modello di sviluppo.
Garantire le opportunità a tutti i cittadini è una ricchezza per tutti.
Allo stesso tempo è necessario adeguare il ruolo dello Stato alle mutate esigenze del Paese.
Un’efficace rete di protezione sociale rende la società più libera e permette di affrontare le sfide della competizione globale.
Innovazione è oggi una parola cruciale nell’azione pubblica, se vogliamo – come noi vogliamo - assicurare la sostenibilità finanziaria dei sistemi di welfare.
È il nodo principale da affrontare, il servizio migliore che la politica può rendere ai propri cittadini. La qualità dei servizi e l’efficienza della gestione sono il pilastro dell’azione politica.
Una migliore efficienza e la capacità di innovare della pubblica amministrazione costituiscono il presupposto per chiedere ai cittadini di adempiere il dovere fiscale.
Ci sono troppi segnali di frattura nel Paese. Affrontare il problema di una gestione ottimale delle risorse pubbliche è l’unica opportunità per rinsaldare il patto sociale tra chi chiede, giustamente, una pressione fiscale meno soffocante e chi auspica il potenziamento degli standard delle prestazioni. Innovare la pubblica amministrazione significa anche liberare le imprese dal fardello della burocrazia, freno che il sistema paese non può più permettersi nel contesto della competizione globale.
La promozione dell’universalità dei servizi pubblici, accanto ad un fisco più equo, è un passo essenziale per scongiurare il miraggio di una risposta individualistica alla gestione dei rischi.

Un welfare di lungo periodoAncora
È necessario che il Partito democratico pensi il Paese nel lungo periodo.
In questo senso il rigore dei conti pubblici e il controllo della dinamica del debito pubblico sono la condizione necessaria per garantire la tenuta del nostro Stato sociale anche in futuro.
L’invecchiamento della popolazione è una delle sfide più importanti dei prossimi anni. Se il Partito democratico saprà mettere al centro le esigenze reali delle persone e della famiglia, se saprà scommettere sull’immigrazione regolare come una bella e grande risorsa per il nuovo Paese, i mutamenti in corso costituiranno non più solo un problema ma anche un’importante occasione di rinnovamento.
L’allungamento della vita cambierà il modo di pensare agli anziani e al rapporto tra età lavorativa e età pensionabile. Fra qualche anno il dibattito di questi giorni sull’innalzamento dell’età pensionabile risulterà drammaticamente sorpassato.
È bene pensare oggi ai diritti dei lavoratori anziani del futuro, mettendo a punto percorsi di uscita graduale dal mondo del lavoro.
Allo stesso tempo oggi dobbiamo pensare e avviare una rete di servizi integrati, socio sanitari e assistenziali per le persone non autosufficienti, vera emergenza sociale che affrontano le nostre famiglie.

Welfare e mercato del lavoroAncora
È necessario ripensare il nostro modello welfare anche alla luce dei cambiamenti che investono il mondo del lavoro. Il sistema degli ammortizzatori sociali, attualmente disegnato su un mercato del lavoro profondamente mutato nel tempo, deve essere al centro di una riforma strutturale, con l’obiettivo dell’inclusione dei giovani che rischiano di rimanere intrappolati in una precarietà senza prospettive.
Allo stesso tempo è necessario correggere le distorsioni nella spesa e la scarsissima attenzione alle funzioni dell’assistenza sociale e di tutela della famiglia. In questo settore è urgente affrontare il problema del sostegno alle famiglie con figli e alle famiglie in condizioni di povertà.
Investire nella crescita è anche investire nel capitale umano delle donne, sviluppando quei servizi che, alleviando il carico del lavoro di cura familiare, permettono di incrementare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
Uguaglianza e opportunitàAncora
È necessario che questo progetto abbia la forza necessaria per essere realizzato. Una condizione di successo è che il Partito democratico possa contare sul contributo delle forze democratiche e tutti gli italiani che hanno interesse nella giustizia sociale ed economica del nostro Paese.
L’Italia non può più permettersi di pagare il prezzo di vecchi privilegi e nuove precarietà, di nuove disuguaglianze e vecchie rendite.
Si tratta di impegnarsi su molti fronti: dalla tutela del lavoratore che è anche consumatore, alla lotta all’evasione - uno degli elementi innovativi dell’azione di questo governo -, al pieno riconoscimento del merito nel mondo del lavoro.
La vera uguaglianza delle opportunità è quella che non lascia indietro nessuno e promuove le qualità di ciascuno.

La LegalitàAncora
Il
 Partito democratico è chiamato ad essere, e con estremo rigore, il partito della legalità, e la legalità si identifica anche con la sicurezza per tutti.

Proprio per il suo essere il bene collettivo forse più direttamente contrapposto al primato dell’interesse individuale, la legalità va intesa sia come lotta alla criminalità, alla corruzione politica e alle mafie, sia come paziente opera di formazione di una nuova coscienza civile.
In questo senso anche la sicurezza acquista nel Partito democratico un senso più autentico e proprio: non viene dal rinchiudersi dei forti nelle loro cittadelle protette, ma cresce e si consolida con la diffusione dei diritti e delle opportunità.

La PaceAncora
Il
 Partito democratico si colloca entro la storia della lunga lotta dei popoli per la riduzione delle disuguaglianze e per l’affermazione delle libertà personali.

Occorre prendere atto che la crisi della democrazia, accanto alle sue specificità italiane, mostra anche una dimensione internazionale. Essa non si affronta attraverso la pretesa di esportare democrazia con la forza ma lavorando ad una prospettiva di sviluppo equo e sostenibile per tutti, rinunciando a sostenere regimi dittatoriali, con un maggior controllo del commercio delle armi, con la cooperazione e il multilateralismo.
La globalizzazione è fenomeno positivo solo se sottoposta ad un governo aperto alla partecipazione di tutte le nazioni e accompagnata da un rafforzamento dell’autonomia e della democrazia dei territori.
L’art. 11 della Costituzione rappresenta il caposaldo della politica internazionale del partito nuovo.
Il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti è per noi un’opzione ideale irrinunciabile. Questa opzione è però possibile solo entro un governo internazionale dei conflitti, e dunque attraverso organismi internazionali e sopranazionali e al loro interno con l’attiva condivisione di responsabilità per la difesa della stabilità e della sicurezza internazionali.
Europa e ONU sono le forme concrete che è andata assumendo nel secolo scorso questa opzione di politica internazionale, pur fra difficoltà, contraddizioni e ritardi, caratterizzando la politica internazionale della Repubblica e le sue alleanze. E’ tale politica che va sviluppata nel contesto nuovo della fine della guerra fredda, dei nuovi problemi posti dalla globalizzazione, dalla criminalità internazionale, dal terrorismo, dalla questione ambientale, che un Partito democratico è chiamato a far divenire coscienza comune della società italiana e di quanti in essa vogliono integrarsi.

Più donne, più democraziaAncora
Le donne italiane devono assumere la leadership delle risposte alla crisi della democrazia.
Hanno segnato la storia della Repubblica nei suoi equilibri politici, a partire dalla Resistenza e dalla Costituzione, e nelle spinte alla modernizzazione della società italiana. Dalle storiche battaglie per la parità e i diritti, con la scolarizzazione e il lavoro, con la nuova creatività e imprenditorialità.
Sono oggi le prime interessate ad una forte reinvenzione della pratica democratica e partecipativa. La loro sistematica esclusione dal potere è molto più di un simbolo delle prassi oligarchiche, della qualità della selezione politica, che umilia insieme le iscritte ai partiti e le donne fuori dei partiti, ma non solo le donne.
Sono le prime ad essere interessate sia a una politica capace di decidere, sia a riscrivere l’agenda politica in modo da privilegiare le grandi questioni irrisolte del mondo che pesano sulla vita quotidiana: dagli squilibri nell’uso delle risorse alla formazione delle nuove generazioni, dal governo pacifico dei conflitti anche etnici e regionali alla lotta alle disuguaglianze, dalla cura dei deboli e degli esclusi al rapporto etica-politica; dal rinnovamento senza tradimenti delle grandi culture storiche; alla battaglia per la legalità e la riduzione dei costi della politica.
I temi della agenda politica delle donne non sono, come pensa qualcuno, un punto debole dell’incontro fra le diverse culture dell’Ulivo. Sono invece la conferma della sua necessità e della sua possibilità. Pur venendo da esperienze e riferimenti etici diversi, convergono nell’affrontare le questioni etiche del nostro tempo più attraverso la costruzione condivisa delle condizioni, anche materiali, per l’esercizio delle responsabilità personali, che attraverso la contrapposizione ideologica dei divieti e dei permessi.
Le donne conoscono dissensi di partenza, ma non li temono e non se ne fanno paralizzare. Sanno bene, infatti, che sui temi che le riguardano direttamente non possono permettersi strumentalizzazioni ideologiche e posizioni di rendita che bloccano le soluzioni.
Siamo sicuri che questo è un obiettivo nel quale tutti, donne e uomini, possono riconoscersi per il bene del Paese.

Voto: sei e mezzo. Ha il pregio di essere un programma di partito, non un programma elettorale di governo). Molto articolato, affronta nodi politici di rilievo, a partire dalla corruzione e dalla lotto alla mafia.
Un po’ generico. La candidatura di Rosy Bindi, poi, è secondo me indebolita dal fatto che di recente ha dichiarato che l’ineleggibilità dei politici condannati dovrebbe valere solo per reati di corruzione.