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mercoledì 28 maggio 2008

Clima prefascista

"DOVE SONO I MANGANELLI?"


Quando a più riprese, negli ultimi due anni, ho denunciato il rischio di un colpo di stato morbido, della progessiva instaurazione di un regime di destra, mi sono sentito chiedere da parecchie persone dove fossero i manganelli, dove l'olio di ricino, dove i carri armati per le strade, insomma dove fossero i segni tangibili di un colpo di stato.
La domanda veniva di solito da persone di destra (il che non sorprende), ma anche, sia pure con toni più smorzati, da elettori di sinista, e questo mi allarmava. Mi allarmava con ragione, visto che la sottovalutazione del rischio per la democrazia è tra le cause dell'astensionismo di sinistra alle ultime elezioni.
La verità, ho sempre ribattuto, è che il colpo di stato c'è, ma fa comodo non vederlo.
C'è, ma si traveste da "nuova politica".
C'è, ma delega le teste spaccate agli ultras e ai picchiatori (non serve più la camicia nera, basta la mazza da baseball).
C'è, ma si è fatto furbo. Per vincere le elezioni scorrettamente, non c'è più bisogno di intimidire fisicamente gli elettori ai seggi (anche se una ripassatina ai comunisti, ogni tanto, male non fa...) Basta imbottir loro la testa di balle, sottacere la verità, presentarla come menzogna di parte, confondere le acque.
Basta dire e ripetere che Prodi ha aumentato le tasse e che è per questo che i poveri son sempre più poveri, e chi se ne frega se la realtà è diversa: il povero sa solo di essere sempre più povero, e se tutte le tv dicono che è colpa di Prodi, vorrà dire che è proprio così..
Ora siamo davanti a una sequela allarmantte di fatti inqeuivocabilmente autoritari. Il sovvertimento di alcune regole elementari dello stato di diritto, come il reato di immigrazione clandestina, ma sorprattutto l'acquiescenza dello stato verso gli episodi di violenza privata (i roghi dei campi Rom, per fare un solo esempio), e le dichiarazioni di esponenti governativi che hanno quale denominatore comune la minimizzazione ("sono quattro imbecilli") o peggio la giustificazione ("la recrudescenza dell'intolleranza è frutto solo del buonismo") di questi fatti.
Fatti che sono crimini, ma che nessuno osa chiamare con il loro nome.
Fatti che ormai sono così frequenti da non poter più essere definiti episodi.
L'ultimo il pestaggio di attivisti di sinistra ad opera di neofascisti alla Spaienza di Roma.
Perché accade tutto questo, tutto adesso? Perché gli idioti picchiatori adesso si sentono protetti, persino giustificati.
Dice che è cambiato il clima, capisci.
Il sistematico tentativo di ristrutturazione dell'immagine di Berlusconi non più come capo di partito ma come illuminato statista. Adesso leggo persino qualcuno di sinistra, che dice "finalmente uno che decide." Capisco il senso della frase, ma non baratto la mia libertà per un'immagine efficientista.
L'altrettanto sistematica delegittimazione del dissenso, presentato come "demonizzazione dell'avversario".
L'incredibile doppiopesismo dei mezzi di informazione, che relegano nelle pagine interne gli episodi di violenza degli italiani ma sparano in primissima pagina quelli perpetrati da stranieri, che minimizzano i guai giudiziari del premier.
Persino Repubblica di recente ha attaccato un coraggioso, Travaglio, con argomenti che non so se definire più ridicoli o più capziosi.
E qui mi rivolgo ai Tuttugualisti (quelli che dicono che destra e sinistra sono uguali, quelli che "ormai cìè la Casta", quelli che "la sinistra è complice", eccetera).
Mi spiace doverlo dire, ma temo sempre più spesso che avevo ragione io. Contenti, Tuttigualisti? Volevate vedere i manganelli? Siete accontenati.
E lo dico adesso, finché posso ancora dirlo.

domenica 18 maggio 2008

Schifani e i lombrichi...accostamento sbagliato


Animazione Flash

Scalfari cita Tocqueville


QUI HABET AURES AUDIENDI, AUDIAT...

"Nella vita di ogni popolo democratico c'è un passaggio assai pericoloso, quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente dell'abitudine alla libertà. Arriva un momento in cui gli uomini non riescono più a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti.
Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla.
Non è raro vedere pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o distratta e che agiscono in mezzo all'universale immobilità cambiando le leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi.
Non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in quali mani indegne possa cadere anche un grande popolo."
Per i miei lettori: un misto di orrore e sgomento, di impotente tristezza per la mia Patria si sono sovrapposti a un periodo di grande impegno professionale. Ma Dati e Fatti vuole tornare ad esserci appena possibile.

domenica 11 maggio 2008

Schifani Renato Giuseppe


Un uomo, un perchè da AntonioDiPietro.it


Riporto la "carta d'identità" tratta da "Se li conosci li eviti", libro pubblicato da Chiarelettere e scritto da Peter Gomez e Marco Travaglio, dell'attuale Presidente del Senato.
Schifani Renato Giuseppe (FI)
Anagrafe: Nato a Palermo l'11 maggio 1950.
Curriculum: Laurea in Giurisprudenza; avvocato; dal 2001 capogruppo di FI al senato; 3 legislature (1996, 2001, 2006).
Segni particolari: Porta il suo nome, e quello del senatore dell'Ulivo Antonio Maccanico, la legge approvata nel giugno del 2003 per bloccare i processi in corso contro Silvio Berlusconi: il lodo Maccanico-Schifani con la scusa di rendere immuni le "cinque alte cariche dello Stato" (anche se le altre quattro non avevano processi in corso). La norma è stata però dichiarata incostituzionale dalla consulta il 13 gennaio 2004. L'ex ministro della Giustizia, il palermitano Filippo Mancuso, ha definito Schifani "il principe del Foro del recupero crediti", anche se Schifani risulta più che altro essere stato in passato un avvocato esperto di questioni urbanistiche. Negli anni Ottanta è stato socio con Enrico La Loggia della società di Villabate, Nino Mandalà, poi condannato in primo grado a 8 anni per mafia e 4 per intestazione fittizia di beni, e dell'imprenditore Benny D'Agostino, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo il pentito Francesco Campanella, negli anni Novanta:
il piano regolatore di Villabate, strumento di programmazione fondamentale in funzione del centro commerciale che si voleva realizzare e attorno al quale ruotavano gli interessi di mafiosi e politici, sarebbe stato concordato da Antonio Mandalà con La Loggia. L'operazione avrebbe previsto l'assegnazione dell'incarico ad un loro progettista di fiducia, l'ingegner Guzzardo, e l'incarico di esperto del sindaco in materia urbanistica. In cambio, La Loggia, Schifani e Guzzardo avrebbero diviso gli importi relativi alle parcelle di progettazione Prg e consulenza. Il piano regolatore di Villabate si formò sulle indicazioni che vennero costruite dagli stessi Antonino e Nicola Mandalà [il figlio di Antonino che per un paio d'anni ha curato gli spostamenti e la latitanza di Bernardo Provenzano, nda], in funzione alle indicazioni dei componenti della famiglia mafiosa e alle tangenti concordate.
Schifani, che effettivamente è stato consulente urbanistico del comune di Villabate, e La Loggia hanno annunciato una querela contro Campanella.

martedì 6 maggio 2008

Gianfranco Fini, un uomo un perché


E' giunta l'ora di sparare a zero contro uno dei personaggi più controversi dell'era berlusconiana

Ipse dixit:

«Tolleranza zero per i giovani di Verona, ma più gravi i fatti della Fiera del Libro»

«Dietro l'aggressione non c'è alcun riferimento ideologico».

Dalla prima frase si deduce che per il "signor" fini è molto più grave il danno ad un qualcosa di simbolico, come una bandiera, piuttosto che un'aggressione di gruppo il cui movente rimane ancora sconosciuto. Purtroppo per fini il primo amore non si scorda mai:

da wikipedia
Inizialmente non era interessato alla politica, ma nel 1968, a sedici anni, si trovò coinvolto in scontri davanti ad un cinema dove un gruppo di militanti di sinistra contestava la proiezione del controverso film sul Vietnam Berretti verdi che lo spinsero all'iscrizione alla Giovane Italia. Molti anni dopo racconterà in un'intervista:


« Non avevo precise opinioni politiche. Mi piaceva John Wayne, tutto qui. Arrivato al cinema, beccai spintoni, sputi, calci, strilli perché gli estremisti rossi non volevano farci entrare. E così per reagire a tanta arroganza andai a curiosare nella sede cittadina della Giovane Italia. »

Sarà stata solo la sua passione per John Wayne?

Passa il tempo, cambiano gli amori che come sempre hanno degli alti e bassi:
Roma | 20 novembre 2007
E' rottura tra Fini e Berlusconi. Il leader di An: con me Silvio ha chiuso

Ma tutti sanno che non è andata così, la poltrona della camera gli è molto comoda.
Un personaggio del genere si commenta da sè!
P.S.:
Domanda al signor fini: Cosa c'è di ideologico nella violenza?

sabato 3 maggio 2008

Scusate il disturbo


da http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

Ora d'aria
l'Unità, 1 maggio 2008 
Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone (“fanno uso politico del loro cognome”, sic) perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati “disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana”: è proprio lui. Non è omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui.

L’altroieri la sua elezione è stata salutata da un’ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne “I complici” (ed. Fazi) - trent’anni prima di sedere sul più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, una società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l’avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D’Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista. Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti d’onore al matrimonio del boss Mandalà. All’epoca, sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa “consulente urbanistico” del Comune perché - dirà La Loggia ai pm antimafia - aveva “perso molto tempo” col partito e aveva “avuto dei mancati guadagni”.

Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: “Le 4 varianti al piano regolatore… furono tutte concordate con Schifani”. Che “interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il piano regolatore generale… grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo: i due segnalavano il progettista del Prg, incassando anche una parcella di un certo rilievo. L’accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg, affinché tutte le sue istanze - variare i terreni dove c’erano gli affari in corso e penalizzare quelli della famiglia mafiosa avversaria - fossero prese in considerazione dal progettista e da Schifani… Il che avvenne: cominciò la stesura del Prg e io partecipai a tutte le riunioni con Schifani” e “a quelle della famiglia mafiosa, in cui Schifani non c’era”.

Domanda del pm: “Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell’urbanistica di Villabate?”. Campanella: ”Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani”. Il tutto avveniva “dopo l’arresto di Mandalà Nicola”, cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da FI per un po’, poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo. Nel ‘98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per intestazione fittizia di beni. E nel ‘99 il Prg salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani. Miccichè insorge: “E’ una vergognosa pulizia etnica”. Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva l’antimafia.