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lunedì 28 febbraio 2011

Superati anche dal Cile


SUDAMERICANO?

MAGARI!

ZAPATALeggo sul blog di Alessandro Giglioli che, in una intervista al Corriere della Sera, il Presidente cileno, che en passant è di destra, quasi si offende quando il giornalista lo paragona a Berlusconi.
Sebastian Piñera è alla vigilia di una visita ufficiale in Italia, e di solito in questi casi il politico intervistato esprime valutazioni assai diplomatiche sul Paese in cui sta per recarsi, frasi del tipo “i nostri rapporti sono eccellenti”, e così via.

Sebastian Piñera no: quando il giornalista gli chiede “I suoi connazionali l’hanno paragonata a Silvio Berlusconi, siete entrambi imprenditori entrati in politica, con interessi nei media e nel calcio. Trova il confronto calzante?”, il Presidente cileno prende le distanze, piccato:
«Io ho preso un dottorato a Harvard, ho insegnato 15 anni all’università e non mi pare che sia il caso del presidente Berlusconi» (…) «ho fatto l’imprenditore, ma la mia vera vocazione è la vita pubblica e l’impegno per restaurare la democrazia in Cile», insomma «ci sono molte differenze, sono più giovane, mi considero un uomo di famiglia, sono sposato da 37 anni, il parallelo non regge, siamo molto differenti per stile di vita, comportamenti e valori» e infine «ho risolto il conflitto d’interessi vendendo tutto a un blind trust, anche se la legge cilena non mi obbligava a farlo».
No comment.

Liberalismo: Berlusconi nemmeno sa cosa sia


LIBERALI DI DESTRA E DI SINISTRA

ZetaMOntanelli


Dall'archivio storico del "Corriere", traggo questo pezzo magnifico del mai abbastanza rimpianto Indro Montanelli, in risposta alla lettera di un lettore:
"(...) Cominiciamo intanto col dire che, prima che una scelta ideologica, quella liberale è una scelta di civiltà: nel senso che ha diritto a considerarsi e ad essere considerato liberale chiunque rispetta le opinioni diverse ed anche opposte alle sue. Ecco perché si può essere liberali anche militando sotto altre bandiere: quelle per esempio socialiste o cattoliche: basta che i loro militanti non pretendano di essere depositari di Verità assolute che escludono tutte le altre e d' imporre quella propria con gli strumenti del potere: la censura e il resto.

Ecco il punto in cui il liberalismo si differenzia dalla democrazia che con la sua religione della maggioranza rischia molto spesso di diventare, in nome di essa, dispotica. L' oltranzista della democrazia crede che il numero sia il metro di tutte le cose e abbia il potere di rendere buone anche quelle cattive. Il liberale, quello vero, non rinunzia affatto a giudicarle secondo il suo metro morale, anche se riconosce il diritto della maggioranza a realizzare le sue volontà. Purché rispetti quello della minoranza e, se del caso, a condannarle, sempre - si capisce - coi mezzi legali della critica e della persuasione. Il democratico, quando ha il numero, crede di avere tutto e di essere autorizzato a sovvertire, in nome di esso, anche la legalità. Fu la democrazia dei giacobini, non certamente il liberalismo dei girondini, a inventare la ghigliottina. Non dimentichiamolo.

Stabiliamo dunque il punto fondamentale. L' ideale della democrazia, in nome della maggioranza, è l' eguaglianza, cioè l' abolizione, anche con la violenza, di qualsiasi distinzione fra persone, ceti, qualità, meriti e colpe. L' ideale del liberalismo è, come dice la stessa parola, la libertà, perché solo nella libertà, cioè in una condizione che lo affranchi da qualsiasi vincolo e controllo, l' uomo trova lo stimolo a dare il meglio di sé per arrivare più in alto che può sia socialmente sia economicamente. Ma è a questo il punto che prendono corpo due scuole di pensiero entrambe liberali, ma secondo una metodica diversa, anzi opposta.

Questo conflitto trovò il suo campo di sperimentazione in Inghilterra, nel momento in cui scoppiò il contrasto tra il liberalismo tradizionale, quello conservatore (Tory) e quello riformista (Whig), ingenerato dalla rivoluzione industriale con le sue masse operaie sfruttate fino al midollo in nome della libertà di una concorrenza che si esercitava soprattutto sulla riduzione dei costi, cioè dei salari. Attenti, dicevano i Whig, una libertà senza freni creerà una società di pochi privilegiati intenti a scannarsi tra loro in una crescente moltitudine di affamati che alla fine (e questa era infatti la previsione di Marx) s' impadroniranno dei mezzi di produzione - macchine e capitali - per gestirseli in proprio.

Di qui, la necessità di una legislazione «sociale» che, pur conservando al singolo il diritto a far valere i propri meriti, lo costringa a rispettare quelli dei suoi sottoposti, collaboratori e maestranze. Sulla fine dell' Ottocento e nei primi decenni del Novecento questo conflitto scoppiò anche in Italia, e fu quello che si accese fra i liberal-conservatori alla Crispi, Di Rudinì, Salandra ecc. che volevano uno Stato risolutamente garante dei diritti del singolo e dei suoi privilegi, e il liberal-riformista Giolitti, che dette alle masse popolari, fin allora tenute fuori dal gioco democratico, i due strumenti per entrarci: il diritto di voto e quello di sciopero. Naturalmente questa non è che una sinossi grossolana e sommaria, come tutte le sinossi, di un processo che richiederebbe ben altri approfondimenti. Ma spero che basti per far capire a lei, e a quanti si pongono la sua stessa domanda, in cosa consiste, sostanzialmente, la differenza fra il liberalismo di destra (Crispi) e quello di sinistra (Giolitti)."

lunedì 21 febbraio 2011

In onore di Valerio Verbano. La rana e l'acqua bollente...


A trent’anni dalla scomparsa del compagno Valerio Verbano, voglio
ricordarlo anche con questo documentario andanto in onda su RAISTORIA e pubblicato  sul Canale Youtube della FusoElektronique.
Ricostruzione ricavata dalle indagini.
Alle 13,00 del 22 febbraio 1980 tre persone si presentano a casa di Valerio: “Siamo amici di suo figlio e vorremmo parlargli”, dicono alla madre, che apre. Viene subito immobilizzata, e la stessa sorte tocca al padre. Sono armati con pistole munite di silenziatore. Valerio non è ancora tornato da scuola. Alle 13,30 Valerio apre con le sue chiavi la porta di casa ed è subito assalito dai tre, con i quali ha una breve colluttazione, poi viene immobilizzato e ucciso con un colpo alla schiena.
E’ dubbio se fu ucciso “precipitosamente” a causa della sua resistenza, se volessero prima “fargli delle domande”, come accennarono alla madre i tre assassini: queste considerazioni possono avere interesse solo in relazione con quanto vedremo circa le “ragioni” dell’uccisione di Valerio.
Per il resto… la morte di Valerio pesa come una montagna.
L’assassinio di Valerio non fu un una “semplice” conseguenza di uno scontro tra compagni e fascisti, né dell’agguato in strada, come spesso è avvenuto. Abbiamo sempre saputo, al di là delle “verità processuali”, che Valerio fu ucciso per delle ragioni precise… continua qui il dossier sulla morte di Valerio.

“..La parte più interessante è che molti sapevano dell’esistenza del dossier coi documenti raccolti da Valerio, specialmente  un giudice che indagava sull’eversione nera, Mario Amato. La documentazione raccolta da Valerio, sparita prima della sua morte dall’ufficio corpi di reato, sarebbe improvvisamente ricomparsa tra le mani di questo giudice. Amato muore per mano dei NAR il 24 giugno 1980.
Poi c’è la strage del 2 agosto a Bologna. I giudici che indagarono su questo attentato hanno più volte affermato che gli omicidi di Valerio e di Amato sono connessi.! “
E qui si ferma la storia conosciuta.
Nel mio piccolo questo anniversario è solo uno dei tanti ( Walter Rossi, Francesco Lo Russo e tutti gli altri…) che mi fanno nascere innumerevoli domande.
Rammentando l’ambiente di allora, nelle scuole, nelle fabbriche ma anche per strada e nei bar, mi chiedo infatti dove e come abbiamo sbagliato se oggi questi esseri rispuntino fuori dalle fogne,  i nipotini di quei topi neri che costringemmo con la nostra egemonia a nascondersi , appunto, in quei confortevoli siti.
Non so’ dove ho letto la storiella della rana e della pentola d’acqua bollente: durante il fascismo la rana gettandosi nell’acqua bollente, scatta via ustionata e se ne tiene alla larga.
Oggi, negli ultimi vent’anni, la rana è entrata nell’acqua tiepida che pian piano si è riscaldata, mandando la rana in un tiepido torpore che l’ha fatta addormentare al calduccio. Che lentamente è divenuto caldo… non accorgendosi perciò poi in tempo che la sua pelle diventava sempre più rossa e stava bollendo, sempre piano piano.
Così muore la rana , piano piano, bollita.
Vi lascio al contributo di Torba
Rosellina970

lunedì 14 febbraio 2011

Una bellissima domenica


IN DIFESA DEL NOSTRO ONORE
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Come ha dettp giustamente Severgnini a Le Invasioni Barbariche, il successo culturale - ancor prima che politico - di Berlusconi si è basato sullo sdoganamento di pulsioni incivili e retrive che, in precedenza, venivano giustamente messe all’indice con grande disdoro del ventre molle della destra peggiore, ma anche del qualunquismo italiota, vogliosissimo di rivincite.

Nel momento in cui lo psicopatico arcoriano ha preso il potere, ha immediatamente iniziato ad assolvere, con le parole e le iniziative politiche, ma soprattutto con il suo stesso comportamento personale, il disprezzo del più povero, del diverso, dell’onesto, del colto, della donna, del paesaggio e dell'ambiente.

Finalmente la società civile ritrova ora lucidità e voce, dignità e coraggio per gridare forte e chiaro che ne abbiamo piene le tasche di un pagliaccio che ci chiede di non considerarlo delinquente (altrimenti si è "moralisti") ma anche, contemporaneamente, di crederlo idiota (perché solo un idiota poteva credere in buona fede alla storiella di Ruby nipote di Mubarak senza nemmeno controllare).

Mi ha fatto molto piacere il risveglio della coscienza femminile, ma altrettanto piacere mi ha fatto il vedere, ieri a Milano, tantissimi uomini come me, scendere in piazza per chiarire che non tutti gli uomini sono coglioni come lui e i suoi accoliti vorrebbero. Difendendo la dignità femminile, ieri difendevo anche il mio onore di maschio. Perche una cosa è avere i coglioni, un'altra è pensare con essi.
Una cosa è averli e constatarlo (hanno la stessa importanza della barba, o dei peli sul petto), e un'altra è idolatrarli e esserne orgogliosi (perché mai poi?).

Ieri abbiamo pranzato presto, poi ho rifornito le ciotole di Datimicio, poi con Datimoglie (che stoicamente sopportava i primi sintomi dell'influenza) e Adolefiglia abbiamo preso la datimobile e ci siamo recati a prendere il metrò al capolinea di Piazza Abbiategrasso.
Un cretino aveva tirato il freno di emergenza, linee del metrò sospese. Meno male, eravamo già alla stazione di Piazzale Cadorna tra un nugolo di milanesi smarronanti ("pur di non farci manifestare hanno tirato il freno a mano!").

Dieci minuti di trada a piedi, e poi... La piazza Castello! Stracolma più di S.Siro il giorno del derby!
Che bello, ero così riuscito anche a smentire lo scetticismo di Adolefiglia ("ma non saremmo poi  quattro gatti?"
Una folla immensa, festante, tante donne ma anche tanti uomini. Ho potuto così spiegare a Adolefiglia che non eravamo lì per illuderci sulle dimissioni del Caimano (sseeeh... figùrati!), ma per poter dire "io ho detto no": per salvare il nostro onore, come ha efficacemente spiegato anche Umberto Eco.

Poi al ritorno Datimoglie è crollata sotto i colpi della febbre, consentendomi così di coccolarmela un po' sostituendola ai fornelli (doveva proprio star male, pòra stéla, non me lo aveva mai permesso!)
Le tagliatella ai funghi, mentre guardavamo il TG di Mentana, non mi erano mai parse così buone.

martedì 8 febbraio 2011

Il '68 non c'entra una sega


NON C'E' IN BALLO SOLO 
IL RUOLO DELLA DONNA
un popolo di eroi


Ieri sera a L’Infedele, Gad Lerner ha mostrato le interviste fatte ad alcune esponenti del Centrodestra (immancabile la Santanché), interpellate sulla manifestazione “Se non ora quando?”
che avrà luogo domenica in molte città d’Italia.
Devo dire che è molto difficile sentire in così pochi minuti un concentrato di idiozie più denso.
Tralasciando le solite rifritture (“sinistra moralista”) e una sola, generica imbarazzata ammissione a denti stretti per quanto qualunquista (“purtroppo la nostra società sta smarrendo i valori autentici”), le due castronerie più grosse, ripetute a gola spiegata da molte intervistate, sono a mio avviso riassumibili come segue.

a) “la dignità della donna si difende sempre, non strumentalizzando una vicenda per dare addosso a Berlusconi: per esempio cosa hanno da dire a sinistra sulla giornalista de Il Giornale che è stata perquisita?” (questa è la cazzeria profferita da Sua Spudoratezza Santanché)

b) “le donne che si concedono per fare carriera non sono che l’ultima conseguenza del permissivismo dilagante che è stato propugnato dalla sinistra dal ’68 in avanti, quindi adesso è inutile che a sinistra si faccia la morale.”

Facile liquidare la prima fesseria (la giornalista non è stata perquisita in quanto donna, quindi l’esempio non c’entra un cavolo). Più insidiosa la seconda, perché sembra colta, politica.
Ma è solo una illusione ottica. In realtà la donna che usa il suo corpo per fare carriera o anche solo sopravvivere non è certo una conseguenza del ’68, non a caso ci si riferisce a tale attività con la locuzione “il più antico mestiere del mondo”. Da Cleopatra e Salomé sino alle cortigiane del ‘700 e ‘800, non c’è stato alcun bisogno di aspettare il 1968. Anzi, la liberazione sessuale che con un certo semplicismo si vorrebbe coincidente con il movimento del Maggio Francese, e che percorse il movimento femminista, vedeva la prostituzione molto negativamente, al punto da sostenere che una donna che si sposasse per “sistemarsi” poteva tranquillamente essere assimilata a una puttana e il marito a uno stupratore legalizzato.

In realtà le damazze del centrodestra, molto coraggiose nel difendere le donne se c'è di mezzo l'Islam, quanto cacasotto se si tratta di criticare il Padrone, non hanno capito una mazza. E cioè che la manifestazione di domenica non è contro quelle povere minus habens che credono di diventare qualcuno concedendosi al Caimano, bensì contro l'immagine avvilente che il Caimano stesso dà dell'Umanità: una immagine svilente del corpo e dell'intelligenza della donna, ma anche squalificante dell'Uomo, trattato come un satiro guardone, bavoso e ossessionato dal pisello.

Io domenica ci sarò, a Milano, in Piazza Duomo, ma non per fare da comparsa solidale al fianco di Datimoglie e Adolefiglia. Ci sarò per testimoniare che non tutti gli uomini italiani sono come Berlusconi, Mora, Fede e compagia cantante.

lunedì 7 febbraio 2011

Il pifferaio magico


FU VERO LEADER?

EccoUnCretino

 …ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo, permettetemi qualche dubbio in proposito.
Dall’inglese, “to lead” significa “guidare”, “farsi seguire”. Il che implica che se c’è un leader debbono esserci, per definizione, dei followers: coloro i quali lo seguono. Ma l’idea stessa del guidare e del seguire implica un moto, un dirigersi verso un fine, una meta. L’avere una direzione.
Ed è qui che possiamo fare una prima distinzione. Esistono leader che si fanno seguire per un ideale che implica un futuro migliore e di progresso (Gandhi, M.L.King, solo per citarne due arcinoti) ed altri che si fanno seguire assecondando gli istinti peggiori della gente (persino scontato Hitler).
Nella seconda categoria, quella dei leader “negativi” possiamo annoverare coloro i quali non avrebbero seguito se non sulla base del terrore e della menzogna (ancora Hitler, ma anche Stalin).

Insomma, ci sono leader e leader.

E Berlusconi? Berlusconi incarna un modello abbastanza originale di leader. Il leader che potremmo definire “assolutorio”. La gente lo segue perché – come dice Severgnini – è lui stesso un’assoluzione ambulante. 
Se lui, potente ed osannato, evade le tasse, corrompe i giudici, si abbandona alle orge, fa regolarmente la figura del parvenue maleducato nelle cerimonie ufficiali, diffama gli avversari, piega le regole a proprio vantaggio ed occupa la posizione che occupa, se lui dall’alto dello scranno su cui siede “sdogana” anche il razzismo, l’egoismo localista e Faccetta Nera in nome del pragmatismo, allora cosa vuoi che sia se io non mi faccio fare la fattura dall’idraulico, se parcheggio in seconda fila, se evado a mia volta, se cerco la “spintarella”, se disprezzo il diverso e il più povero (avete notato che il peggior insulto oggi è “sfigato”?)…

Insomma, ecco perché metà – o poco meno – degli Italiani ancora lo seguono: perché è il monello che c’è in noi, è il proprio porco comodo che diventa lecito e anzi si vanta della sua – della nostra – furbizia.
Ne consegue il disprezzo per le regole e l’invettiva contro il moralismo, lo sbrago totale dei costumi  e dell’educazione, il dileggio verso la cultura ed i libri, sino all’esaltazione dell’egoismo come virtù (questa viene da lontano, chi si ricorda il “gene egoista”?), che Albanese ha reso benissimo con Cetto La Qualunque quando grida dal palco del comizio di voler fare, per i poveri e i bisognosi, una “beata minchia”.

Ed ecco la vera ragione per la quale il trionfo del berlusconismo ha implicato, necessariamente, la sconfitta del senso civico e dell’altruismo della sinistra e del cattolicesimo progressista: il comunismo e lo stalinismo non c’entrano una cippa, è fumisteria ideologica. Il vero bersaglio è la coscienza in senso etico.  Come ebbe a dire Gaber, “non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”.
Perché lo temo?
Basta guardare lo sguardo beota e soddisfatto di sé del cretino qui sopra, per capirlo.