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venerdì 26 settembre 2008

Spulciando qua e là


ZITTI E MOSCA

foto Cortina 2008
Conforta constatare che, evidentemente, non tutto il proverbiale buon senso dei cattolici è andato perduto.
Non ancora. In effetti, da qualche anno ci si poteva ben domandare dove fosse finito, visto non solo l’orientamento restauratore e di destra del vaticano, ma anche i benevoli ammiccamenti di tanta stampa, e di tanti intellettuali, per non parlare ovviamente della CEI e di CL, verso l’attuale padrone del vapore.
Anche i cattoprogressisti, annidati nel PD ma ancor ben convinti di indossare la casacca della Margherita, parevano assai più preoccupati di non concedere diritti agli omosessuali che non della salute della democrazia.
Poi uno apre La Repubblica di ieri, a pagina 27, e si conforta, leggendo un bell’articolo di don Antonio Sciortino, che apparirà anche sul prossimo Micromega. E legge:

“La semplficazione del quadro politico alle ultime elezioni e l’ampia investitura popolare ottenuta dal PDL (e di conseguenza dal governo e dal presidente Berlusconi) ha posto la questione del rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia di opinione. Il dibattito può assumere anche toni drammatici quando, invocando l’estesa legittimazione popolare al governo in carica, si mette in dubbio la possibilità altrui di esprimere opinioni e critiche all’operato del governo. Quando poi gli attacchi vanno dritti contro un giornale (Famiglia Cristiana, NdR) e si dissente sul diritto all’opinione diversa e alla critica (…), è legittimo chiedersi se non sia in atto un ritorno all’autoritarismo, che disprezza il principio dell’uguaglianza delle idee, almeno della loro possibilità di esprimersi. (…) Chi governa con ampio mandato popolare ritiene, forse, che è suo compito anche spalmare il paese di un pensiero unico e forte, senza ammettere alcun diritto di replica?  (…) Quando si mette il coprifuoco alle idee, quando un governo ritiene di doversi scagliare contro le critiche di un giornale, forse qualcosa non va nella nostra democrazia rappresentativa.
In realtà, in Italia la gente ha una concezione sempre più leggere della democrazia rappresentativa. Sembra che basti solo assolvere al diritto di voto. E i politici (soprattutto quelli <<nuovi>>, quelli che non provengono da una lunga formazione, ma dalle scuole del marketing), ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una delega in bianco. Si sentono legittimati a fare tutto ciò che le regole della soddisfazione dei desideri impongono, quasi che l’esercizio nobile dell’arte della politica, sia definita dalla migliore e scintillante soluzione dei desideri di ognuno. (…) Siamo così all’antipolitica, che non è quella di Grillo o dei girotondi, ma quella della politica intesa come mercato della soddisfazione dei desideri. (…) Oggi si tende a semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che saranno necessariamente inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se al momento sono allettanti. Ciò che accade attorno al pacchetto sicurezza, alla questione immigrazione, ma anche sui temi della giustizia, lo dimostrerà. La parola più indicata per definire tutto ciò è populismo, che insegue e accarezza i desideri. Una dimostrazione è l’ultima finanziaria, valida per tre anni e assai pesante, approvata in una manciata di minuti dal governo. (…)
Oggi, forse, non corriamo alcuni rischi del passato, ma c’è un allarme circa un progetto di Stato e di convivenza democratica, che non dà voce a chi non ha voce, a cominciare dalle famiglie e dai più poveri.”

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Dalle pagine de “Il Venerdì di Repubblica”, il vecchio partigiano si lancia ancora, e con furore, contro “La retorica (e i falsi) del revisionismo neofascista”. Chi segue questo blog sa già quanto mi trovi d’accordo in proposito con Giorgio Bocca, ma stavolta sbaglia il tiro. Anche se ha ragione a dire che tale revisionismo si basa su clamorosi falsi storici. Però manca il punto.
Perché i neofascisti non vogliono tanto passare per vincitori di una guerra in cui furono clamorosamente sconfitti (perché anzi fa loro molto comodo rifugiarsi nell’alibi miserevole che la Storia è scritta dai vincitori). Nossignori, il loro obiettivo è dimostrare che i loro ideali (chiamiamoli così) hanno pari dignità rispetto al comunismo, che anzi viene sempre più spesso descritto come peggiore del nazismo. Il vero falso storico, caro Bocca, è quello.

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Sempre su La Repubblica, ma relegata chissà perché nelle pagine dell’economia, mentre meriterebbe tutt’altro risalto, apprendiamo una notizia interessante.
Emendando il disegno di legge sui lavori usuranti (n.1441 quater, collegato alla finanziaria), il governo azzera le norme delle precedenti due finanziarie (quelle di Prodi), che stabilizzavano 50.000 precari della Pubblica Amministrazione.
In esse, leggiamo, si prevedeva che chi fosse precario da almeno tre anni, e fosse entrato in graduatoria dopo prova selettiva, venisse assunto.
Ora, non entro nel merito, può darsi che si sia trattato di un atto inevitabile per motivi di cassa.
Faccio solo osservare che, mentre un provvedimento oggettivamente mirato a combattere il precariato e varato da Prodi fu quasi solo accennato dai mass media, questo azzeramento di una norma socialmente positiva passa nel silenzio più totale. Ve lo immaginate a parti invertite?
Un mese di Porta a Porta, due o tre campagne di stampa de Il Giornale, articoli di fondo critici di Galli Della Loggia, lanci in prima pagina su tutti i TG berlusconiani e RAI, dibattiti alla radio. Come minimo.
Invece, lo fa Berlusconi. O Tremonti che sia (è lo stesso). E infatti, zitti e mosca.
A proposito di Tremonti, ho scoperto che fu lui, quando collaborava da tecnico (sic!) con Craxi, a ispirare quell’obbrobrio che è il meccanismo dell’8 per mille alla Chiesa, per cui paparatzi si pappa anche l’8 per mille di chi non si è sognato nemmeno di crocettare il modulo.
Anche su questo, zitti e mosca.

mercoledì 24 settembre 2008

La solita pagliacciata "CDL"


Ora qualcuno dirà che questo articolo era su "Liberazione", il Manifesto, l'Unità, oppure "La Repubblica".

Macché (guardare in fondo al post)

Alitalia: perchè il piano Air France era migliore del piano Fenice

di Gianni Dragoni

Sabato 06 Settembre 2008

In nessun aspetto la proposta attribuita alla cordata di 16 investitori della Cai, guidati da Roberto Colaninno, già scalatore di Telecom Italia nel 1999 con i soldi della stessa società, migliora il progetto francese
È un confronto perdente, quello tra il piano Passera-Colaninno per la "nuova Alitalia" che è stato accolto con le fanfare dal Governo e l'offerta di acquisto presentata da Air France-Klm nei mesi scorsi, che fu affossata da Silvio Berlusconi in campagna elettorale e respinta dai sindacati.

In nessun aspetto la proposta attribuita alla cordata di 16 investitori della Cai, guidati da Roberto Colaninno, già scalatore di Telecom Italia nel 1999 con i soldi della stessa società, migliora il progetto francese. Anzi, numerosi appaiono i peggioramenti, per la compagnia e i lavoratori, per i consumatori, per i contribuenti, per creditori e azionisti.

Dalle informazioni disponibili si possono sollevare interrogativi che vanno ad aggiornare il decalogo pubblicato sul Sole 24 Ore il 25 luglio. Inoltre, non è comprensibile quali vantaggi rechi l'integrazione con AirOne, aviolinea privata in difficoltà che Intesa Sanpaolo ha voluto includere nella "nuova Alitalia".

1. I vantaggi dell'italianità
L'elemento da cui è partita l'opposizione politica e imprenditoriale al piano Spinetta era la mancanza di "italianità". Solo questa caratteristica – si disse – sarebbe stata una garanzia per i passeggeri nazionali, le imprese, il turismo, con il mantenimento di un maggior numero di voli intercontinentali e internazionali diretti. Ebbene, le destinazioni della "nuova Alitalia" saranno 65, inferiori alle 84 di Air France. Ci sarà una concentrazione sul mercato nazionale ed europeo (dove si perdono più soldi per l'attacco delle low cost), con pochi collegamenti intercontinentali. I voli a lungo raggio della nuova società oscillano, secondo i primi annunci, tra 13 e 16 destinazioni, contro le 15 previste da Jean-Cyril Spinetta all'inizio e destinate ad aumentare. Per i passeggeri italiani aumenterà la necessità di fare scalo a Parigi, Francoforte o Londra per voli lunghi.

2. Flotta ridimensionata
La riduzione di attività è inevitabile poiché il piano postula che la compagnia derivante dall'integrazione di Alitalia con Air One abbia circa 139 aerei, cioè 100 in meno delle 238 macchine impiegate dai due vettori. Spinetta prevedeva un'Alitalia con 137 velivoli, circa 40 in meno della sua flotta. I francesi inoltre prevedevano di aggiungere un aereo di lungo raggio all'anno dal 2010. Non si conoscono gli impegni di Colaninno in proposito.

Poiché Alitalia già ha 175 aerei, più della flotta giudicata necessaria dal nuovo piano, a cosa serve aggiungere AirOne, con i suoi 60 aeroplani? L'aviolinea privata ha ordini per 60 nuovi Airbus 320 che consumano meno dei vecchi Md80 Alitalia. Ma il canone di leasing su questi aerei è molto più alto che sugli altri.

3. Monopolio
L'unione di Alitalia con il principale concorrente annulla quasi tutta la concorrenza sui cieli nazionali. La nuova società avrà mano libera nell'alzare le tariffe, con un beneficio di alcune centinaia di milioni sui conti. Fa sorridere chi sostiene che la concorrenza arriverà dal treno: l'alta velocità, quando arriverà, potrà forse essere un'alternativa sulla Roma-Milano, non sulle altre tratte. L'italianità, insomma, sarà pagata cara dai consumatori.

4. Impegni finanziari
Air France-Klm si era impegnata a versare dentro Alitalia Spa – la società oggi commissariata – almeno un miliardo entro giugno 2008, accollandosi anche circa 1,4 miliardi di debiti finanziari netti che invece il nuovo piano lascia nella bad company. Di fatto, l'impegno di Air France era di 2,4 miliardi circa. E non ci sarebbe stata una bad company da scaricare sullo Stato o sui creditori/azionisti.

La Cai ha annunciato un impegno fino a un miliardo. Per ora, i suoi soci hanno versato 160mila euro. E nell'"information memorandum" del Progetto Fenice si legge che il nuovo capitale versato "per cassa" dai soci entro il 2008 sarà di 800 milioni, "soggetto al verificarsi di talune condizioni sospensive". È da chiarire quale sarà la somma effettiva, comunque inferiore al miliardo.

Quanto a AirOne, lo stesso documento dice che, attraverso un aumento riservato, conferirà "taluni rami aziendali per un controvalore pari a 300 milioni", che porteranno il capitale a 1,1 miliardi. AirOne non mette soldi. Quali siano i "rami aziendali" il documento non lo precisa. Certo non aerei, perché i suoi jet sono in leasing.

L'impegno degli investitori "italiani" è meno della metà dei francesi. Resta un buco di almeno 1,4 miliardi nella bad company: debiti che verranno pagati dallo Stato (si stima per un miliardo), dai creditori, dagli azionisti.

5. La valutazione di Alitalia
Si sostiene che la Cai ha fatto un'offerta di circa 300 milioni per comprare la parte buona di Alitalia, gli slot, il marchio, con gli aerei migliori. Un valore analogo viene attribuito ai conferimenti di AirOne. Non è giustificabile attribuire valori simili a società che non sono comparabili. Ed è risibile che la polpa buona della compagnia pubblica valga così poco. Alitalia possiede slot pregiati a Heathrow, Parigi, Francoforte, Duesseldorf, Madrid che valgono svariate centinaia di milioni. Ha un marchio noto nel mondo, una rete di vendita internazionale.

Perché il commissario Augusto Fantozzi non apre una procedura trasparente di vendita, dando anche ad altri (Air France o Lufthansa, ad esempio) il tempo di fare un'offerta?(1)  Dovrebbe essere suo interesse massimizzare il ricavato per creditori e azionisti.

6. Il valore di Air One
Il Progetto Fenice non spiega quale sia il beneficio portato da AirOne. La compagnia di Carlo Toto ha una rete sovrapposta ad Alitalia, gli aerei mezzi vuoti e perde soldi: nei primi sei mesi del 2008 il coefficiente di occupazione posti è del 56,8%, il più basso d'Europa tra le circa 30 compagnie dell'Aea (media 74,4%, Alitalia ha il 68,2%). I conti veri di AirOne sono quelli del consolidato di Ap Holding (ApH), la controllante creata a fine 2006 da Toto con una complessa manovra di rivalutazione patrimoniale. Nel 2007 il gruppo ApH ha perso 32 milioni, con un fatturato di 785 milioni. I debiti del gruppo a fine 2007 erano 900 milioni e sono cresciuti a 1,1 miliardi nei primi sei mesi quest'anno. In larga parte si tratta di debiti per acquisire i nuovi A320 che sono collocati in società irlandesi, date in pegno alle banche finanziatrici e affittati a AirOne.

Il Progetto Fenice suona come il salvataggio di AirOne e delle banche che l'hanno finanziata. Quali sono gli impegni e le banche esposte con Toto? Si sa di Unicredit, di Morgan Stanley, di sigle tedesche. Ci sarebbe più trasparenza se fosse fatta piena luce sulla reale esposizione verso Toto di Intesa.

7. Flotta e leasing
Alitalia ha 109 aerei in proprietà. La flotta era iscritta nel bilancio 2007, approvato anche dal ministero dell'Economia, per un valore di 1,98 miliardi di euro: è compresa o no la flotta nell'offerta da circa 300 milioni di Colaninno? Nel Progetto Fenice si legge che "la Newco acquisterà dalla vecchia Alitalia 43 aerei per 772 milioni, accollandosi debiti per 522 milioni". Sembrerebbe che questo impegno si aggiunga ai circa 300 milioni offerti per la compagnia. Non si tratta di una valutazione generosa: i debiti legati agli aerei (tra cui 6 Boeing 777 valutati 295 milioni, con 210 milioni di debito accollato) sono mutui per un'attività in funzionamento, allineati ai costi che si avrebbero con il leasing.

Nel Progetto Fenice si dice che "Nuova Alitalia non deterrà aerei in proprietà, tutta la flotta sarà gestita in leasing". Nessuna grande compagnia lo fa. Perché questa scelta? Forse per fare cassa vendendo gli aerei e ridurre il capitale versato dai soci? Toto sarà il fornitore privilegiato grazie ai suoi ordini per 60 A320 e realizzerà buoni guadagni con i canoni di leasing.

8. Esuberi
Il piano francese prevedeva 2.120 esuberi. Inoltre 3.300 lavoratori sarebbero rimasti in Az Servizi-Fintecna, con cinque anni di appalti garantiti. La "nuova Alitalia" ha detto che ha bisogno di 14.250 addetti, di cui 2.750 esterni. Poiché il gruppo Alitalia ha 18mila dipendenti e il gruppo AirOne 3mila, gli esuberi veri sono circa 7mila.

9. Risparmiatori intrappolati
La Consob ha sospeso azioni e bond Alitalia il 3 giugno, per evitare speculazioni. Così è stato impedito a soci e obbligazionisti di fuggire. Ora le azioni sono carta straccia.

10. Lock up e compensazioni
I 16 imprenditori intendono vendere tra cinque anni e non prima. Tuttavia il vincolo del lock up potrebbe essere aggirato con una ricapitalizzazione fatta da altri soci (per esempio Air France). Ci sono dubbi sugli interessi che hanno mosso i partecipanti alla cordata italiana, oltre alla possibilità di guadagnare rivendendo a un vettore europeo. Benetton e Gavio hanno già ottenuto dal Governo benefici con le nuove convenzioni autostradali.


Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2008/09/alitalia-vale-300-milioni.shtml?uuid=dbdff838-7be5-11dd-b71c-ffcc13bc0246&DocRulesView=Libero
(1) Quest'articolo è di sabato 6 settembre. In seguito è stato fatto quanto suggerito dal giornalista, NdR
=======================commento di Dati e Fatti:========================================
ALLA LUCE DI QUANTO SOPRA, SE SENTO ANCORA QUALCUNO CHE RIMPROVERA A PRODI LA COSIDDETTA "SVENDITA" DELLA SME, LO MANDO VOLENTIERI A DEFECARE SULLE ORTICHE ROSSE.

venerdì 19 settembre 2008

Internet è e rimane un mezzo libero da censure


...ed io ho tutto il diritto di sputtanare il ministro della pubblica istruzione più incompetente della storia repubblicana
da Wikipedia.it

Carriera politica

Entrata in Forza Italia sin dalla cosiddetta "discesa in campo" di Silvio Berlusconi,è stata presidente del club "azzurro" di Desenzano del Garda dal 1994. Nel 1998 è stata prima degli eletti alle amministrative[7] ricoprendo la carica di presidente del consiglio del comune di Desenzano del Garda fino al 2000 quando fu sfiduciata da presidente del consiglio comunale per inoperosità.
Dal 2002 è stata assessore al territorio della provincia di Brescia dove ha realizzato il "Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale" e ha ottenuto il riconoscimento di nuovi parchi quali il "Parco della rocca e del sasso di Manerba" e l'ampliamento del "Parco delle colline di Brescia" e del "Parco del lago Moro". Dal 2004 è stata assessore all'agricoltura.
Prima degli eletti alla Regione Lombardia nella circoscrizione di Brescia per Forza Italia, entra nel Consiglio Regionale della Lombardia nell'aprile del 2005.
Il mese successivo, a seguito del successo elettorale, diventa coordinatrice regionale di Forza Italia in Lombardia.
Nel 2006 Mariastella Gelmini viene eletta alla Camera dei Deputati, dove è stata membro della giunta per le autorizzazioni a procedere, del comitato parlamentare per i procedimenti di accusa e della II commissione giustizia.
È l'autrice del progetto di legge "per la promozione e l'attuazione del merito nella società, nell'economia e nella pubblica amministrazione", presentato il 5 febbraio 2008.
Ha fatto parte del comitato costituente del Popolo della Libertà dove ha coordinato il gruppo di lavoro sullo statuto del nuovo movimento politico. Secondo alcuni media, è gradita agli ambienti di Comunione e Liberazione.
Nel 2008 è stata riconfermata alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Lombardia II per il Popolo della Libertà ed è stata nominata ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca nel Governo Berlusconi IV.

UN PERSONAGGIO DEL GENERE NON MERITA DI DIRIGERE UNO DEI DICASTERI PIU' IMPORTANTI DELLA REPUBBLICA
ERGO
"MOCCIOSA INCOMPETENTE DIMETTITI!!! NON SEI DEGNA NEMMENO DI PULIRE I CESSI DI UNA SCUOLA!!!"

lunedì 15 settembre 2008

ALTRI PASSI VERSO IL BARATRO


"Libertà sul web. Sentenza oscurantista in Italia.
Condannato penalmente da un tribunale della Repubblica per il reato di "stampa clandestina", reo di aver curato il sito internet di documentazione storica e sociale "accadeinsicilia", già oscurato d'autorità.
E' avvenuto un fatto gravissimo, che potrà avere effetti devastanti per la libertà di espressione sul web in Italia. Carlo Ruta è stato condannato a una pena pecuniaria, per "stampa clandestina", solo per aver gestito un sito di documentazione storica e sociale, in sostanza un normalissimo blog, di cui peraltro era stata comprovata, dalla polizia postale di Catania, cui era stato conferito l'incarico degli accertamenti, la non periodicità regolare.
L'incredibile sentenza penale è stata emessa dal giudice Patricia Di Marco, presso il tribunale di Modica, dietro denuncia presentata dal magistrato Agostino Fera, noto alle cronache per le censure di cui è stato fatto oggetto da diversi parlamentari della Repubblica, da Giuseppe Di Lello al presidente dell'Antimafia Francesco Forgione, in relazione alla gestione dell'inchiesta giudiziaria sul caso del giornalista Spampinato.
Una sentenza del genere, che reca riscontri soltanto in Cina e in qualche nazione a regime dittatoriale, per le leggi che vigono nel nostro paese è un'assurdità. Costituisce un attacco frontale al mondo del web, alla democrazia, ai diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. E' quindi importante che le realtà delle reti, le sedi dell'informazione, le espressioni del paese civile rispondano con la massima determinazione.
Firma la petizione, potresti essere tu il prossimo condannato! "
Cliccare qui per documentarsi.
(Grazie come sempre alla preziosissima Rosalba Sgroia).

venerdì 12 settembre 2008

I puntini sulle "i"


TANTO PER RISTABILIRE LA VERITA'
IL FASCISMO NEGATO
FALSI MITI E LUOGHI COMUNI
(un'intervista di Emilio Gentile* alla Repubblica)

In Germania è impensabile che il ministro della Difesa elogi il patriottismo delle SS o il suo collega francese pronunci accenti commossi per Vichy. Perché succede da noi?
"In Italia è stato cancellato tutto quello che il fascismo ha rappresentato come distruzione della democrazia e umiliazione della collettività. La defascistizzazione del fascismo nasce da un totale travisamento di quello che il regime è stato. A questo offuscamento non è estranea la cultura antifascista. Per molti anni è prvalsa a sinistra l'immagine d'un regime ventennale sciolto come un  castello di carte, una nullità storica con cui in sede storiografica s'è cominciato a fare i conti troppo tardi. A destra gli uomri hanno oscillato tra la caricatura e l'indulgenza, fino alla tesi del fascismo modernizzatore: un'interpretaizone che dura tuttora."
Per i suoi eredi politici il fascismo è una dittatura nata per caso.
"I neofascisti hanno sempre negato il carattere intenzionale della dittatura, escludendone il tratto totalitario. E' la tesi circolata nel Movimento Sociale fino agli anni Ottanta, uno schema interpretativo che si riflette sulle prime dichiarazioni di Gianni Alemanno a Gerusalemme: da una parte il fascismo, fenomeno complesso; dall'altra le leggi razziali, vergogna indota da Hitler."
Poi il sindaco di Roma ha affrettato una correzione, aggiungendo in modo contorto che non poteva disconoscere l'esito liberticida del fascismo.
"Sì, ha parlato di fenomeno totalitario, categoria negata ancora da molti storici di destra, e non solo. Ma non capisco come possano stare insieme il riconoscimento della natua totaitaria del fascismo con la sua assoluzione sino alle leggi razziali. Gran confusione alberga nella destra postfascista italiana, con un equivoco di fondo."
Quale?
"Partiamo da una domanda essenziale: la dittatura è un fatto accidentale o appartiene all'essenza stessa del fascismo e alla volontà di Mussolini? Le leggi razziali sono estranee a ciò che il fascismo era stato fino a quel momento? Se noi optiamo per una lettura accidentale, le leggi antisemite furono un incidente di percorso dovuto a influenze esterne. Con tutto quello che ne consegue: la buona fede, il patriottismo, i valori di chi servì il fascismo."
E' questa la lettura espressa da autorevoli dirigenti di Alleanza Nazionale, oltre che da importanti cariche istituzionali.
"Ma è un metodo inaccettabile! Con gli stessi criteri si possono riscattare lo stalinismo e il nazismo. Fino al 1941, quando il Fuhrer decise la soluzione finale, il nazismo fece tante cose buone: nessuno potrebbe negare storicamente che fu per patriottismo e non per odio agli ebrei che milioni di tedeschi videro in Hitler il salvatore. Sempre seguendo lo stesso metodo, potremmo dire che De Galle e Petain avevano in contrasto solo la linea del fronte: per il resto erano due patrioti francesi..."
Il patriottismo diviene una categoria molto arbitraria. Il ministro La Rissa ha reso omaggio al valore dei "patrioti di Salò".
"Quale patria? Una delle caratteristiche del fascismo sin dalle origini fu quella di negare l'esistenza di una patria di tutti gli italiani: esisteva soltanto la patria di coloro che aderirono al fascismo. Anche soggettivamente il patriottismo fascista fu liberticida. E' Mussolini che il 4 Ottobre 1922, prima della Marcia su Roma, dichiarò che lo Stato fascista avrebbe diviso gli italiani in tre categorie: gli indifferenti, i simpatizzanti e i nemici. Questi ultimi, annunciò, andavano eliminati. Se si parte da queste premesse, non c'è più una patria degli italiani: c'è solo la patria dei fascisti. Per i seguaci del duce, Amendola e Sturzo non sono italiani. E' questa stessa logica che nel 1938 porta Mussolini ad affermare che gli ebrei sono estranei alla razza italiana e per questo vanno discriminati."
Un altro stereotipo invalso in articoli, libri, interviste su Salò è quello della buona fede dei ragazzi che vi aderirono.
"Per capire storicamente si deve cosiderare anche la buona fede. Ho scritto anch'io sul patriottismo nella RSI. Ma la buona fede non può essere un criterio di valutazione storica! Se avessero vinto Mussolini e il Fuhrer, che ne sarebbe stato di questi patrioti idealisti o non fascisti? Che fine avrebbero fatto in un nuovo ordine dominato da Hitler, ancor più totalitario, razzista e nutrito d'odio feroce? Anche i responsabili dei campi di concentramento nazisti come Rudolf Hoss, il comandante di Auschwitz, professarono d'essere bravi padri di famiglia e sinceri amanti della patria. Forse lo pensavano anche i guardiani dei gulag."
Perché secondo lei la destra postfascista ha difficoltà a riconoscere una realtà storica così evidente? La condanna di AN finora si è limitata alla vergoga delle leggi razziali: mai una parola sui delitti precedenti, da Amendola a Matteotti, Gobetti e i fratelli Rosselli, Gramsci che muore per la galera. Senza contare le vittime della violenza squadrista, tra il 1920 e il 1922, circa tremila morti. E i ventottomila annai di carcere comminati complessivamente dal Tribunale Speciale agli antifascisti, con una trentina di condanne a morte. E gli eccidi commessi in Africa, più tardi centinaia di migliaia di italiani mandati a morire nella guerra voluta da Mussolini. Su tutto questo un prolungato silenzio.
"Una realtà storica che non si presta a equivoci. Sono persuaso che queste dichiarazioni estemporanee, confuse e contraddittorie, di due importanti esponenti di Alleanza Nazionale, siano anche il frutto di scarsa conoscenza delle vicende del fascismo, di quel che ha detto e fatto Mussolini contro la democrazia. Nel neofascismo è sempre prevalsa una visione mitico-nostalgica, che evidentemente sopravvive ancora a dispetto delle conoscenza storica."
Su questa visione irrazionale s'innesta la nuova vulgata suggerita anche da tanta parte della pubblicistica che si professa liberale. E' innegab ile che in questi anni abbia operato nella stampa quotidiana, in tv e in libri di successo un filone neorevisionistico teso a screditare l'antifascismo e a defascistizzare il fascismo.
"Se un autorevole storico come Pietro Melograni dichiara al Corriere della Sera che il fascismo non è esistito ma è esistito Mussolini, posso contestarlo sul piano storiografico, senza però attribuirgli intenti ideologici. Certo, togliendo al fascismo i suoi attributi originari per i quali fu definito totalitario, si finisce per annacquarlo, facendone un fenomeno riducibile alla responsabilità di un solo individuo. E senza fare i conti con la vera natura del regime - nella complessità della sua origine, del suo svolgimento e della sua fine - sarà difficile affronare con consapevolezza critica il problema dell'eredità fascista nelle istituzioni, nella politica, nella società e nei costumi degli ultimi sessant'anni. Ma una cosa più di tutto m'indigna."
Che cosa, professore?
"Che il nome di Renzo De Felice venga spesso citato per giustificare la riduzione del male alle leggi antisemite e ridimensionare il problema della RSI al patriottismo in buona fede."
Accanto al De Felice storico c'è un De Felice più incline all'uso pubblico della storia, cui si richiamano anche alcuni dei suoi eredi.
"A me interessa il grande studioso di storia. Sulle leggi razziali De Felice scrive che la responsabilità maggiore fu di Mussolini, della sua incosciente megalomania, di trasformare gli italini <in nome di principi e ideali che erano la negazione di ogni principio e di ogni ideale.> Più chiaro di così.
E ancora: <La tragica conclusione del fascismo è nelle sue stesse premesse e nella sua logica, nella sua sostanza antidemocratica e liberticida, nella sua mancanza di rispetto per i valori più elementari della personalità umana.>
Anche su Salò si espresse in modo inequivocabile, attribuendo alla RSI l'origine della guerra civile. Non sono opinioni assolutorie."
Professore, non le sembra segno d'un grave ritardo culturale che ora ci troviamo a ripetere sul fascismo considerazioni che dovremmo considerare l'abc d'una coscienza democratica?
"Dopo le grandi passioni ideologiche di una volta, su una spinat cinica e irrazionale il nostro paese ha forse rinunciato sia all'ideologia che alla conoscenza storica. Appare come svuotato, isterilito sul piano etico e della coscienza civica. Sull'apologia del fascismo prevale l'apatia, l'insensibilità ai problemmi della libertà. Gli italiani sembrano indifferenti alla storia, dunque più esposti alle semplificazioni. Mi chiedo cosa accadrò fra tre anni, quando ricorderemo la nascita dello Stato italiano. Forse riconosceremo che, soggettivamente, avevano ragione Metternich e Francesco Giuseppe nel voler mantenere l'Italian divisa e sottomessa? E invece Mazzini, Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II oggettivamente sbagliarono a  renderla unita e indipendente?"
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Qualche giorno fa, intanto, un gruppo di lavoratori della scuola ha fischiato (e basta) un intervento pubblico della Gelmini. Sono stati immediatamente identificati da agenti in borghese. Che evidentemente non passavano di lì per puro caso. Siamo alla patente intimidazione del dissenso.


* storico del fascismo.

Ed ecco a voi il Ministro della Pubblica(?) Istruzione


Nella città calabrese l'anno precedente il record di ammessi con il 93 per cento

Da Brescia a Reggio Calabria
Così la Gelmini diventò avvocato

L'esame di abilitazione all'albo nel 2001.
Il ministro dell'Istruzione: «Dovevo lavorare subito»


Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi.
La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un po' di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni.
Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l'esame di Stato.
Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre iscriversi all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali.
Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'«esamificio» diventa via via una industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame.
Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell'esame taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I candidati — giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata — avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? — spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».
Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d'esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.
Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti.
In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria».
I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.

Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?
Gian Antonio Stella
04 settembre 2008(ultima modifica: 05 settembre 2008)