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venerdì 26 settembre 2008

Spulciando qua e là


ZITTI E MOSCA

foto Cortina 2008
Conforta constatare che, evidentemente, non tutto il proverbiale buon senso dei cattolici è andato perduto.
Non ancora. In effetti, da qualche anno ci si poteva ben domandare dove fosse finito, visto non solo l’orientamento restauratore e di destra del vaticano, ma anche i benevoli ammiccamenti di tanta stampa, e di tanti intellettuali, per non parlare ovviamente della CEI e di CL, verso l’attuale padrone del vapore.
Anche i cattoprogressisti, annidati nel PD ma ancor ben convinti di indossare la casacca della Margherita, parevano assai più preoccupati di non concedere diritti agli omosessuali che non della salute della democrazia.
Poi uno apre La Repubblica di ieri, a pagina 27, e si conforta, leggendo un bell’articolo di don Antonio Sciortino, che apparirà anche sul prossimo Micromega. E legge:

“La semplficazione del quadro politico alle ultime elezioni e l’ampia investitura popolare ottenuta dal PDL (e di conseguenza dal governo e dal presidente Berlusconi) ha posto la questione del rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia di opinione. Il dibattito può assumere anche toni drammatici quando, invocando l’estesa legittimazione popolare al governo in carica, si mette in dubbio la possibilità altrui di esprimere opinioni e critiche all’operato del governo. Quando poi gli attacchi vanno dritti contro un giornale (Famiglia Cristiana, NdR) e si dissente sul diritto all’opinione diversa e alla critica (…), è legittimo chiedersi se non sia in atto un ritorno all’autoritarismo, che disprezza il principio dell’uguaglianza delle idee, almeno della loro possibilità di esprimersi. (…) Chi governa con ampio mandato popolare ritiene, forse, che è suo compito anche spalmare il paese di un pensiero unico e forte, senza ammettere alcun diritto di replica?  (…) Quando si mette il coprifuoco alle idee, quando un governo ritiene di doversi scagliare contro le critiche di un giornale, forse qualcosa non va nella nostra democrazia rappresentativa.
In realtà, in Italia la gente ha una concezione sempre più leggere della democrazia rappresentativa. Sembra che basti solo assolvere al diritto di voto. E i politici (soprattutto quelli <<nuovi>>, quelli che non provengono da una lunga formazione, ma dalle scuole del marketing), ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una delega in bianco. Si sentono legittimati a fare tutto ciò che le regole della soddisfazione dei desideri impongono, quasi che l’esercizio nobile dell’arte della politica, sia definita dalla migliore e scintillante soluzione dei desideri di ognuno. (…) Siamo così all’antipolitica, che non è quella di Grillo o dei girotondi, ma quella della politica intesa come mercato della soddisfazione dei desideri. (…) Oggi si tende a semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che saranno necessariamente inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se al momento sono allettanti. Ciò che accade attorno al pacchetto sicurezza, alla questione immigrazione, ma anche sui temi della giustizia, lo dimostrerà. La parola più indicata per definire tutto ciò è populismo, che insegue e accarezza i desideri. Una dimostrazione è l’ultima finanziaria, valida per tre anni e assai pesante, approvata in una manciata di minuti dal governo. (…)
Oggi, forse, non corriamo alcuni rischi del passato, ma c’è un allarme circa un progetto di Stato e di convivenza democratica, che non dà voce a chi non ha voce, a cominciare dalle famiglie e dai più poveri.”

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Dalle pagine de “Il Venerdì di Repubblica”, il vecchio partigiano si lancia ancora, e con furore, contro “La retorica (e i falsi) del revisionismo neofascista”. Chi segue questo blog sa già quanto mi trovi d’accordo in proposito con Giorgio Bocca, ma stavolta sbaglia il tiro. Anche se ha ragione a dire che tale revisionismo si basa su clamorosi falsi storici. Però manca il punto.
Perché i neofascisti non vogliono tanto passare per vincitori di una guerra in cui furono clamorosamente sconfitti (perché anzi fa loro molto comodo rifugiarsi nell’alibi miserevole che la Storia è scritta dai vincitori). Nossignori, il loro obiettivo è dimostrare che i loro ideali (chiamiamoli così) hanno pari dignità rispetto al comunismo, che anzi viene sempre più spesso descritto come peggiore del nazismo. Il vero falso storico, caro Bocca, è quello.

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Sempre su La Repubblica, ma relegata chissà perché nelle pagine dell’economia, mentre meriterebbe tutt’altro risalto, apprendiamo una notizia interessante.
Emendando il disegno di legge sui lavori usuranti (n.1441 quater, collegato alla finanziaria), il governo azzera le norme delle precedenti due finanziarie (quelle di Prodi), che stabilizzavano 50.000 precari della Pubblica Amministrazione.
In esse, leggiamo, si prevedeva che chi fosse precario da almeno tre anni, e fosse entrato in graduatoria dopo prova selettiva, venisse assunto.
Ora, non entro nel merito, può darsi che si sia trattato di un atto inevitabile per motivi di cassa.
Faccio solo osservare che, mentre un provvedimento oggettivamente mirato a combattere il precariato e varato da Prodi fu quasi solo accennato dai mass media, questo azzeramento di una norma socialmente positiva passa nel silenzio più totale. Ve lo immaginate a parti invertite?
Un mese di Porta a Porta, due o tre campagne di stampa de Il Giornale, articoli di fondo critici di Galli Della Loggia, lanci in prima pagina su tutti i TG berlusconiani e RAI, dibattiti alla radio. Come minimo.
Invece, lo fa Berlusconi. O Tremonti che sia (è lo stesso). E infatti, zitti e mosca.
A proposito di Tremonti, ho scoperto che fu lui, quando collaborava da tecnico (sic!) con Craxi, a ispirare quell’obbrobrio che è il meccanismo dell’8 per mille alla Chiesa, per cui paparatzi si pappa anche l’8 per mille di chi non si è sognato nemmeno di crocettare il modulo.
Anche su questo, zitti e mosca.

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