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martedì 16 novembre 2010

Ideologia berlusconide


IL BERLUSCONISMO COME IDEOLOGIA/
/SBUGIARDARLI ALLE RADICI - 2

bugia
Per una volta, partirei dal fondo, cioè dal nr. 15: “se cade il governo si deve ri-votare”, e dal nr. 14: “il capo del governo è l’unica autorità legittimata dal voto popolare.”
Primo, non è vero che sia l’unica: c’è anche il Parlamento. Secondo, dove mai è scritto che in democrazia sono legittimate solo le cariche elettive? I magistrati non sono eletti dal popolo. I commissari di polizia, tanto meno. Non parliamo dei vigili urbani. Ma nemmeno il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo. E nemmeno la Corte Costituzionale. Quindi l’idea che la democrazia coincida sic-et-simpliciter con il voto è quanto meno bizzarra. Per fare solo qualche esempio storico, Hitler e Mussolini vennero eletti. In pieno impero romano (un notevole esempio di autocrazia), non poche cariche pubbliche erano elettive (per esempio, gli edili).

Ma soprattutto è bizzarro che “se cade il governo si deve ri-votare”: secondo questo ragionamento, se il Parlamento sfiducia l’esecutivo, viene sciolto - il presupposto quindi è che il parlamento è legittimato a far leggi solo se si trova d'accordo con il capo del governo. Bizzarro, vero? In altri termini, l’organo controllante (il Parlamento) deve star bene attento a quello che fa, perché se osa ritirare la fiducia all’organo controllato (il governo), decade immediatamente. Con tanti saluti al primato del parlamento stesso, che fino a prova contraria è anch’esso eletto dal popolo, ed essendo un organo collegiale è tendenzialmente più democratico della presidenza del consiglio che, per definizione, è una carica occupata da un singolo cittadino.
Ed infatti è proprio qui una delle prime storture del quasi ventennio berlusconico: la pretesa che il parlamento sia semplicemente la stanza delle ratifiche delle decisioni governative, né più né meno qual era il Senato Romano sotto l’Impero (nel periodo repubblicano no, era un’altra storia).

“Ma sulla scheda elettorale c’è indicato il nome del candidato alla presidenza del consiglio”, argomentano alcuni. Certo, e infatti è invalsa la prassi (corretta) di assegnare al candidato della coalizione che ha vinto le elezioni politiche l’incarico di formare il nuovo governo. Ma ciò non toglie che il medesimo, subito dopo, deve ottenere la fiducia di entrambi i rami del Parlamento, proprio perché in Italia l’Esecutivo risponde al Legislativo, e non viceversa. 

Ragionando per ipotesi, supponiamo che la coalizione “X” vinca le elezioni. Il Capo dello Stato incarica quindi il suo candidato, signor Pepito Sbezzeguti, di formare il nuovo governo. Costui lo fa, ma subito dopo, per una botta di megalomania o perché ha bevuto un po’ troppo, si presenta al Parlamento asserendo che il suo governo intende dichiarare guerra alla Germania, combattere la mafia bombardando Palermo, costruire un ponte che congiunga Genova a Olbia e portare a zero le tasse. E’ palese che, in questo caso, la “colpa” non sarebbe certo né dei parlamentari che hanno vinto le elezioni, né tanto meno di quelli – pur democraticamente eletti – che appartengono alla coalizione perdente. Per quale motivo costoro non dovrebbero negare la fiducia a un pazzoide, pena l’immediato ritorno alle urne?

L’esempio che ho fatto è volutamente paradossale, ma se anziché una settimana dopo le elezioni, il governo perde la fiducia dopo due anni, per quale motivo il Parlamento dovrebbe avere meno ragione a negarla?

domenica 14 novembre 2010

Senza titolo



 DEL BERLUSCONISMO COME IDEOLOGIA


BerlusconiManoTesa
(segue)
11. Per quanto riguarda la competitività, siccome non può essere che un suo deficit possa dipendere dall’incapacità o dall’avidità di manager e imprenditori, i colpevoli debbono essere altri. Quindi, ecco di volta in volta il costo del lavoro, la rigidità della contrattualistica giuslavorista, la farraginosità delle nostre leggi, il peso della burocrazia (i famosi “lacci e lacciuoli”).
12. Il fatto che milioni di disgraziati premano alle frontiere del ricco Occidente a causa della fame endemica, dei regimi sanguinari, delle guerre interetniche o a sfondo religioso, non può dipendere dallo sfruttamento dell’Occidente sul Terzo Mondo, né dalla sciagurata ascesa delle multinazionali (ricordate, l’assioma è che dalle imprese non può venire che il Bene), ma solo da una specie di invidia, da parte di popolazioni sottosviluppate e straccione, che invidiano il nostro benessere e vogliono venire a portarcelo via.
13. La democrazia? E’ tollerata se si riduce al rito delle urne, purché svuotato di ogni sostanziale potere di scelta da parte del popolo, a partire dal suo diritto ad essere informato, e a finire con quello di scegliere le facce che andranno in Parlamento. IL resto dell’apparato democratico (i controlli della Corte dei Conti e della Corte Costituzionale, il ruolo di garante del Presidente della Repubblica, la vigilanza da parte della stampa, l’indipendenza della magistratura, il primato del potere legislativo su quello esecutivo, e così via) vengono percepite e fatte percepire come impedimenti all’esercizio del potere esecutivo.
14. Da (13) deriva direttamente che il capo del governo (notare che lo chiamano così, non più solo “presidente del consiglio”) è l’unica autorità legittimata dal voto popolare. Siccome quest’ultimo è tutto ciò che rimane della democrazia, ecco che si cerca di affermare che qualsiasi tentativo di sfiduciare il governo è bollato come manovra di palazzo, se non addirittura come colpo di stato. Ovvio che anche il dettato costituzionale, laddove dice che il parlamentare è eletto senza vincolo di mandato (ciò per assicurare la sua libertà di voto al di là della cosiddetta “disciplina di partito”), è vissuto come un impedimento all’azione demiurgica del Grande Manovratore.
15. Da (14), all’affermare ogni volta che se cade il governo si deve ri-votare, il passo è breve. Ma diventa ancora più breve se a dirlo è un tizio che detiene l’80% del potere di propaganda elettorale…
(continua…)

sabato 13 novembre 2010

Le pericolose idee del signor B.


SBUGIARDARLI ALLE RADICI
berluscorna

Signori,  a quanto pare ci si avvia verso il tramonto politico di Berlusconi. E figuratevi se non ne sono contento.
Tuttavia, avverto la necessità di affrontare taluni argomenti, qui, che non mi sembrano al centro del dibattito. E invece dovrebbero.
Dovrebbero, perché:
  1. Siamo probabilmente alla vigilia di una campagna elettorale decisiva
  2. Anche se B. si avvicina al suo tramonto (incrociamo le dita però perché ancora non è detto, e finché non lo vedo mandare fax da Hammamet, anzi da Antigua,  non ci credo), ciò che è ancor lungi dal tramontare è la sciagurata ideologia che si chiama berlusconismo.
“Ideologia? Ma non erano finite le ideologie?”
Nossignori. B. e soci hanno decretato la fine di due ideologie: il comunismo, per ragioni sin troppo ovvie di convenienza; e il fascismo, per apparente par condicio e per non farsi accusare di fascismo essi stessi.
L'unica ideologia ammessa (all'unica condizione di non chiamarla così) è la loro.

Intendo quindi aprire una serie di post su alcuni presupposti errati che stanno alla base del berlusconismo, smontandoli sul piano teoretico e storico (ma non di rado, persino sul piano della pura e semplice logica).
Il berlusconismo si regge su alcuni assiomi di fondo, che come tali vengono dati per veri a priori, senza bisogno di dimostrazione, e da quelli discende tutta una serie di conseguenze filosofiche e quindi politiche.
Li provo ad enumerare, senza dar loro un ordine particolare.
  1. “Meno stato, più  mercato” è l’idea di fondo del liberismo, che però B. & C. vorrebbero portare a,lle estreme conseguenze con il cosiddetto principio di sussidiarietà:  secondo il quale l’intervento statale è lecito solo ed esclusivamente laddove non arriva la mano del mercato a risolvere le questioni.
  2. Il privato è sempre meglio del pubblico. La mano pubblica viene identificata come l’origine ed il ricettacolo di ogni nequizia: dalla corruzione all’inefficienza, dai cosiddetti “privilegi” alle infiltrazioni mafiose, eccetera eccetera.
  3. L’idolatria dell’imprenditore e del manager: discende direttamente da (a) e (b), e pone al centro dell’azione politica l’uomo d’azienda, simbolo di azione, efficacia, decisionismo, efficienza, competenza. Ne derivano molte “parole d’ordine” , come la locuzione “l’azienda Italia” e l’idea che per risolvere l’inefficienza del settore pubblico occorra mettervi a capo dei manager.
  4. “La lotta di classe è un reperto archeologico.” E’ una vecchia fissazione della destra, che trovò piena attuazione nel sistema corporativo fascista. I poveri e i proletari se ne stiano buoni buoni, che a loro ci pensiamo noi.
  5. Nel frattempo, il governo deve solo badare al benessere delle imprese, perché si può distribuire ricchezza solo se le aziende sono nelle condizioni di produrne. Siccome però lo stato liberista non può intervenire nella libera contrattazione tra gli attori sociali, e la lotta di classe è negata, ecco che ogni rivendicazione sindacale viene delegittimata ed etichettata come “difesa di privilegi”.
  6. “Con la cultura non si mangia”. Credo fosse Goebbels a dire qualcosa di simile, anche se in modo più brutale, negli anni Trenta, quando affermò che ogni volta che sentiva la parola cultura gli veniva voglia di impugnare la pistola. In altre parole, ciò che conta (l’unica cosa che conti davvero) sono i “dané”, ed il successo economico è l’unico mezzo per misurare la qualità dell’essere umano. Le conseguenze di questa impostazione sono devastanti, dallo sfascio della scuola pubblica, dell’Università e della Ricerca, all’abbandono dei beni culturali e paesaggistici, ma anche all’idea che l’istruzione abbia senso solo ed esclusivamente se “prepara al mondo del lavoro”: la scuola non deve più formare cittadini consapevoli, ma tecnici per l’industria ed i servizi (privati, beninteso).
  7. Sarebbe bene avere successo in maniera onesta, ma si sa: siccome la competizione è spietata, e agli imprenditori tocca misurarsi anche con concorrenti non proprio pulitissimi, per stare al passo con i tempi e mantenere profittevoli le imprese occorre mettersi a pagare meno tasse (magari evadendole con il beneplacito del governo), aggirare le norme antinfortunistiche, eccetera.
  8. Siccome le aziende sono in mano agli imprenditori, e gli imprenditori investono in esse solo se si sentono sempre più ricchi (e se guadagnano sempre più a breve termine, e con il minor rischio possibile), occorre far si che gli imprenditori possano guadagnare, guadagnare, guadagnare.  A qualunque costo.  Altrimenti sono legittimati a disinvestire dalle imprese – il che vuol dire tagliare posti di lavoro, e voi di sinistra non vorrete mica una cosa del genere vero?
  9. L’unico progresso della società sta nella crescita economica, quindi, sull’altare della quale occorre sacrificare (o almeno far passare in secondo piano) tutti il resto. Dai diritti civili a quelli sindacali, dalla difesa dell’ambiente alle regole democratiche, dalla progressività della tassazione al welfare state.
  10. Logica (?) conseguenza di tutto quanto sopra è che non importa se a governare è un losco figuro, l'importante è che faccia guadagnare quelli che mettono in moto l'economia.
1 - continua