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sabato 13 novembre 2010

Le pericolose idee del signor B.


SBUGIARDARLI ALLE RADICI
berluscorna

Signori,  a quanto pare ci si avvia verso il tramonto politico di Berlusconi. E figuratevi se non ne sono contento.
Tuttavia, avverto la necessità di affrontare taluni argomenti, qui, che non mi sembrano al centro del dibattito. E invece dovrebbero.
Dovrebbero, perché:
  1. Siamo probabilmente alla vigilia di una campagna elettorale decisiva
  2. Anche se B. si avvicina al suo tramonto (incrociamo le dita però perché ancora non è detto, e finché non lo vedo mandare fax da Hammamet, anzi da Antigua,  non ci credo), ciò che è ancor lungi dal tramontare è la sciagurata ideologia che si chiama berlusconismo.
“Ideologia? Ma non erano finite le ideologie?”
Nossignori. B. e soci hanno decretato la fine di due ideologie: il comunismo, per ragioni sin troppo ovvie di convenienza; e il fascismo, per apparente par condicio e per non farsi accusare di fascismo essi stessi.
L'unica ideologia ammessa (all'unica condizione di non chiamarla così) è la loro.

Intendo quindi aprire una serie di post su alcuni presupposti errati che stanno alla base del berlusconismo, smontandoli sul piano teoretico e storico (ma non di rado, persino sul piano della pura e semplice logica).
Il berlusconismo si regge su alcuni assiomi di fondo, che come tali vengono dati per veri a priori, senza bisogno di dimostrazione, e da quelli discende tutta una serie di conseguenze filosofiche e quindi politiche.
Li provo ad enumerare, senza dar loro un ordine particolare.
  1. “Meno stato, più  mercato” è l’idea di fondo del liberismo, che però B. & C. vorrebbero portare a,lle estreme conseguenze con il cosiddetto principio di sussidiarietà:  secondo il quale l’intervento statale è lecito solo ed esclusivamente laddove non arriva la mano del mercato a risolvere le questioni.
  2. Il privato è sempre meglio del pubblico. La mano pubblica viene identificata come l’origine ed il ricettacolo di ogni nequizia: dalla corruzione all’inefficienza, dai cosiddetti “privilegi” alle infiltrazioni mafiose, eccetera eccetera.
  3. L’idolatria dell’imprenditore e del manager: discende direttamente da (a) e (b), e pone al centro dell’azione politica l’uomo d’azienda, simbolo di azione, efficacia, decisionismo, efficienza, competenza. Ne derivano molte “parole d’ordine” , come la locuzione “l’azienda Italia” e l’idea che per risolvere l’inefficienza del settore pubblico occorra mettervi a capo dei manager.
  4. “La lotta di classe è un reperto archeologico.” E’ una vecchia fissazione della destra, che trovò piena attuazione nel sistema corporativo fascista. I poveri e i proletari se ne stiano buoni buoni, che a loro ci pensiamo noi.
  5. Nel frattempo, il governo deve solo badare al benessere delle imprese, perché si può distribuire ricchezza solo se le aziende sono nelle condizioni di produrne. Siccome però lo stato liberista non può intervenire nella libera contrattazione tra gli attori sociali, e la lotta di classe è negata, ecco che ogni rivendicazione sindacale viene delegittimata ed etichettata come “difesa di privilegi”.
  6. “Con la cultura non si mangia”. Credo fosse Goebbels a dire qualcosa di simile, anche se in modo più brutale, negli anni Trenta, quando affermò che ogni volta che sentiva la parola cultura gli veniva voglia di impugnare la pistola. In altre parole, ciò che conta (l’unica cosa che conti davvero) sono i “dané”, ed il successo economico è l’unico mezzo per misurare la qualità dell’essere umano. Le conseguenze di questa impostazione sono devastanti, dallo sfascio della scuola pubblica, dell’Università e della Ricerca, all’abbandono dei beni culturali e paesaggistici, ma anche all’idea che l’istruzione abbia senso solo ed esclusivamente se “prepara al mondo del lavoro”: la scuola non deve più formare cittadini consapevoli, ma tecnici per l’industria ed i servizi (privati, beninteso).
  7. Sarebbe bene avere successo in maniera onesta, ma si sa: siccome la competizione è spietata, e agli imprenditori tocca misurarsi anche con concorrenti non proprio pulitissimi, per stare al passo con i tempi e mantenere profittevoli le imprese occorre mettersi a pagare meno tasse (magari evadendole con il beneplacito del governo), aggirare le norme antinfortunistiche, eccetera.
  8. Siccome le aziende sono in mano agli imprenditori, e gli imprenditori investono in esse solo se si sentono sempre più ricchi (e se guadagnano sempre più a breve termine, e con il minor rischio possibile), occorre far si che gli imprenditori possano guadagnare, guadagnare, guadagnare.  A qualunque costo.  Altrimenti sono legittimati a disinvestire dalle imprese – il che vuol dire tagliare posti di lavoro, e voi di sinistra non vorrete mica una cosa del genere vero?
  9. L’unico progresso della società sta nella crescita economica, quindi, sull’altare della quale occorre sacrificare (o almeno far passare in secondo piano) tutti il resto. Dai diritti civili a quelli sindacali, dalla difesa dell’ambiente alle regole democratiche, dalla progressività della tassazione al welfare state.
  10. Logica (?) conseguenza di tutto quanto sopra è che non importa se a governare è un losco figuro, l'importante è che faccia guadagnare quelli che mettono in moto l'economia.
1 - continua

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