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domenica 20 settembre 2009

"Abbasso la cultura"


ECCO IL MINISTRO
DELL'IGNORANZA
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Il nano numero due, al secolo Brunetta, si scaglia con inaudita intemperanza verbale contro “gli pseudointellettuali di sinistra”, contro questa “élite di merda”, contro la cultura alla quale bisogna a suo dire tagliare i fondi al più presto possibile.
Non merita neppure un cenno che il tono sopra le righe denoti una volta di più l’insofferenza del regime e dei suoi gerarchi per tutto ciò che sappia di cultura, di informazione non uniformata (due cose che vengono liquidate sotto l’etichetta del “buonismo”, del “politicamente corretto”,  del fazioso). Lo fa assai bene Michele Serra su La Repubblica di oggi (“Demagogia al governo”, pag. 31).

Né vale richiamare il fatto che, come in ogni regime, si insiste nel rovesciare la realtà, camuffando i manganellatori da vittime, ad esempio quando si bollano come complottardi e (addirittura!) golpisti tutti coloro i quali si augurano che l’Italia si liberi di Berlusconi prima della scadenza del suo sciagurato mandato quinquennale: il risibile argomento è che avendo lui vinto le elezioni, la sua caduta sarebbe di per sé contraria alla volontà popolare. Una fanfaluca, come si vede, perché la stessa cosa si sarebbe potuta bellamente affermare per Prodi, ma all’epoca (gennaio 2007) a nessuno passò per la capoccia di affermare una fesseria del genere.

Vorrei piuttosto richiamare l’attenzione sulla vexata quaestio della presunta egemonia culturale della sinistra, un argomento questo che ritorna con la periodica puntualità dell’epidemia d’influenza, e che starebbe a dimostrare che l’Italia “è stata governata per 50 anni dai comunisti”.
A parte la sorprendente accozzaglia di forzature (governare un Paese è diverso dal detenerne una egemonia culturale, la sinistra non è fatta né mai è stata fatta di soli comunisti), l’argomento andrebbe ridimensionato e sbugiardato in più punti.

Ammesso che abbia un qualche tipo di fondamento, tale egemonia culturale è stata riconoscibile nell’atteggiamento dei mass media – e non di tutti come vedremo – al massimo per una quindicina d’anni, cioè nel periodo che va dal 1968 all’avvento di Craxi a Palazzo Chigi, e non certo per cinquant’anni. Stiamo parlando di una stagione politica complessa e tormentata, nella quale assistemmo certo a una grande ondata di vittorie sindacali, all’ingresso dei socialisti al potere dalla porta principale (ma sul fatto che il PSI di Craxi fosse di sinistra, molto ci sarebbe da obiettare, essendosi trasformato in una associazione per delinquere senza ideali di fatto) e al ventilato superamento della “conventio ad excludendum” verso il PCI, attraverso il famoso compromesso storico – che comunque mai portò il PCI a governare, quindi è argomento privo di senso storico.

L’esperienza dei governi di centrosinistra, iniziatasi nei primi anni sessanta per iniziativa della DC che intendeva sottrarre definitivamente il PSI dall’orbita di Mosca, ma soprattutto depotenziare la protesta di sinistra verso una repubblica matrigna che per l’intero dopoguerra aveva mirato esclusivamente allo sviluppo economico ma non alla sua redistribuzione, portò, fino almeno al 1970 (con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori) soprattutto conquiste sociali e civili, che illusero molti che l’Italia stesse incamminandosi sul radioso sentiero delle socialdemocrazie europee più avanzate. Purtroppo la storia è lì a dimostrare che così non fu. Molto si può dire ad esempio sul tormentato e a volte oscuro rapporto tra la cultura di sinistra di quegli anni e la nascita di movimenti apertamente eversivi e terroristici, che però avevano il loro contraltare in una destra truce e stragista; ma bisogna convenire che sul piano del consenso elettorale ogni attentato delle BR faceva perdere voti ed opportunità al PCI, che infatti non riuscì mai a divenire il partito di maggioranza relativa.

Non vengono mai sfiorati, i poverini, dal sospetto che se la sinistra è egemone presso gli intellettuali (non solo in Italia, ma nel mondo libero), forse è perché sapere le cose come stanno porta a tirare conclusioni più prossime al progresso sociale che alla conservazione dei privilegi dei ricchi, a preferire la democrazia all’autoritarismo, al guardare con sospetto il razzismo e non il “buonismo”, eccetera. Prendi il cinema: da una parte trovi una fila di registi e attori pluridecorati nei massimi festival internazionali, dall’altro Lando Buzzanca; da una parte Roberto Benigni, dall'altra il Bagaglino…
Né li sfiora mai l’idea che in Italia i luoghi di elaborazione e trasmissione del sapere e dell’informazione di massa siano sempre stati in mano alla DC (che mai ha mollato la rete ammiraglia della RAI).
E nemmeno ritengono utile considerare che la DC, in cinque decenni, mai rinunciò al Ministero della Pubblica Istruzione, e tanto meno alla direzione della rete ammiraglia della RAI, e che vi furono fior di intellettuali di destra moderata, fermamente anticomunisti, che mai avrebbero però accolto la recrudescena fascista con tutti gli onori, e che oggi si rivoltano nella tomba a vedere in che stato sia conciata la destra italiana di oggi, proprio nei valori e nella cultura.
Caso mai si potrebbe e si dovrebbe parlare di egemonia della destra a partire dalla metà degli anni ’80 a oggi, con alcune riserve indiane ancora presidiate da alcuni intellettuali di sinistra nelle università, nelle scuole, in alcuni organi di informazione, ma è tutto, e soprattutto che l’influenza di questi laboratori di pensiero è stata completamente nullificata dei suoi effetti sulla mentalità del popolo italiano dalla pervasiva ed asfissiante propaganda, spesso subliminale, delle TV.
Né è dato capire quali sarebbero i “poteri forti” che – ovviamente ipnotizzati dai golpisti di sinistra – tramerebbero da 15 anni ai danni di Berlusconi.

Chi sarebbero costoro? Facciamo qualche ipotesi.
Il Vaticano? Ma se il Vaticano e la CEI hanno sempre fatto fatica a non rendere plateale il loro tifo calcistico verso l’Uomo della Provvidenza di Arcore (si legga al proposito il bel saggio “L’unto del Signore”, di F.Pinotti e U.Guempel, BUR RCS, Milano 2009, sui legami tra l’Unto e la Curia)…!
La grande industria? Non facciamo ridere i polli, è vero che i grandi industriali lo hanno sempre guardato dall’alto in basso considerandolo un parvenue, ma è vero altrettanto che gli Agnelli e soci non gli hanno mai fatto mancare il proprio appoggio; del resto in questi tre lustri non ricordo un solo presidente della Confindustria che si sia schierato contro di lui. Confindustria al massimo è stata tiepidina verso Forza Italia, ma più spesso ha vinto al suo interno la corrente – sempre più forte e organizzata – della piccola imprenditoria industriale del Nord.
L’alta finanza? Ma se Mediaset è azionista di Mediobanca!
L’edititoria? Se escludiamo il gruppo di Debenedetti , che con Repubblica raggiunge le 600.000 copie al massimo, il vuoto è pneumatico.
La CIA allora? E perché non la famiglia Bush al completo, giacché ci siamo?

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