Visualizzazioni totali

venerdì 8 gennaio 2010

I successi di Berlusconi in economia


A SINISTRA?

SOLO "MENAGRAMO"

sisma


L’ondata di ciarpame pseudo economicista che ci ha sotterrato negli ultimi vent’anni si reggeva su due pilastri. Uno, è che per produrre ricchezza bisogna detassare i ricchi, altrimenti non investono, poverini, e ne va di mezzo l’occupazione. 

Il secondo, forse anche più subdolo, consisteva nel raccontarci che la scarsa competitività delle nostre imprese dipendesse anzitutto dal costo del lavoro (che a sua volta, guarda caso, sarebbe alto per via della tassazione). Con queste due bubbole, che da addetto ai lavori mi sono sgolato a qualificare come tali per almeno tre lustri, sentendomi dare del matto e del comunista, si voleva essenzialmente sdoganare il concetto che la redistribuzione del reddito attraverso le tasse fa male all’economia, e che – di conseguenza – la politica economica “delle sinistre” è un disastro. 

Sulla prima, che veniva spacciata per verità rivelata dalla famosa “curva di Laffer” di cui Milton Friedman fu un ardente tifoso, gli economisti hanno ora scoperto che era una teoria interessante, ma totalmente indimostrata sul piano scientifico (e infatti ha clamorosamente fallito là dove venne applicata, cioè in UK e USA con la Thatcher e Reagan. 

Sulla seconda bubbola, leggo ora su “Bananabis” (che ringrazio, http://bananabis.splinder.com/) di un interessante articolo di Mario Sensini, sul Corriere della Sera di lunedì 4 gennaio.
Ne riporto qui alcuni passi salienti.

 “(…) Secondo le ultime classifiche dell’Ocse, gli stipendi netti degli italiani sono al ventitreesimo posto nella classifica dei trenta Paesi più industrializzati che aderiscono all’organizzazione. E se si considera lo stipendio al lordo delle ritenute fiscali e dei contributi, la nostra classifica migliora solo di una posizione. A parità di potere d’acquisto, lo stipendio di un lavoratore italiano single senza figli è pari a 30.245 dollari, e nella graduatoria Ocse siamo davanti solo alla Repubblica Ceca, l’Ungheria, il Messico, la Nuova Zelanda, la Polonia, il Portogallo, la Slovacchia e la Turchia.”

Attenzione, si parla di stipendio lordo, cioè tassato. Lo si evince bene dal passaggio successivo: “E nella classifica che considera il salario netto, pari per un italiano a 21.374 dollari, ci supera pure la Nuova Zelanda. La nostra distanza dalla testa della classifica, che vede al primo posto per il salario netto la Corea (39.931 dollari), seguita da Regno Unito (38.147) e dalla Svizzera (36.063), è siderale. Ma siamo molto lontani anche dalla Germania (29.570 dollari) e dalla Francia (poco più di 26 mila).”
Ora, se fosse vero che la competitività dipende dal costo del lavoro, dovremmo credere di essere mooolto più competitivi del Regno Unito, della Corea, della Svizzera, della Germania e della Francia. Ci credete? Io no.
Sarà colpa dei sindacati, delle politiche di sinistra?
Sentite qui.

In vent’anni, secondo uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il valore degli stipendi degli italiani rispetto al prodotto interno lordo è diminuito di quasi il 13%, contro una flessione media dell’8% registrata nei 19 Paesi più avanzati. I salari reali, secondo l’agenzia dell’Onu, considerati a parità di potere d’acquisto, sono crollati in Italia di quasi il 16% tra il 1988 ed il 2006. Il calo più forte, manco a dirlo, che si è registrato tra i primi undici Paesi industrializzati del mondo, superiore pure a quello della Spagna (-14,5%). “

Ma dipenderà dalle tasse e dai contributi, se da noi si guadagna così poco e il lavoro costa così tanto??
“Fatta la somma, la pressione tributaria complessiva sulla busta paga media di un italiano è pari al 46,5% del costo del lavoro, ed è più alta solo in Germania, Belgio, Austria e Francia. Così l’Italia occupa la posizione numero 19 nella graduatoria del costo del lavoro: con un valore di 39,9 siamo quasi alla metà della Germania (61,6) e di gran lunga sotto la Francia (51,2). Anche se negli anni il nostro Paese non pare proprio che sia riuscito a sfruttare questo vantaggio competitivo.”

Appunto: il che significa che il differenziale di competitività è stato scaricato sugli stipendi netti: cioè sulle spalle dei lavoratori, mica delle imprese. In Germania e Francia (che sono ben più competitive di noi) la pressione fiscale e contributiva è più alta, e sono più alti anche gli stipendi netti.

Insomma, l’economia è un disastro, ma lorsignori ci sono riusciti, a far diventare più ricchi i ricchi a scapito dei poveri.
Negli ultimi vent’anni, dice l’articolo. Il quale però non dice che il salario medio in Italia è fermo in termini reali dal 2001.
Allora: 2001-2002-2003-2004-2005-2006-2007-2008-2009: sono 9 anni, pari a 108 mesi.
In questi centootto mesi, per la bellezza di ottantaquattro c’è stato al governo Berlusconi.
Fate un po’ voi.

Nessun commento:

Posta un commento