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martedì 12 dicembre 2006

Civiltà


Per una volta, riassumo da "La Repubblica", perché la politica non c'entra, c'entrano le coscienze.
IL DRAMMA DI WELBY/2

E’ il Catechismo della Chiesa Cattolica (art. 2278) a dire che "L’interruzione di procedure mediche onerose, straordinarie o sproporzionate ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire", e ancora che (art. 2279):
"L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista come tollerata e quindi inevitabile."
L’art. 14 del codice deontologico del medico: "Egli deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti da cui non ci si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita"
L’art. 37 dello stesso codice recita "In caso di malattia o prognosi sicuramente infausta o pervenuta alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale. Fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita."
Il genetista Bruno Dallapiccola: "A nessun medico si può chiedere di iniettare in vena una sostanza che uccida, ma è altrettanto vero che i medici non devono tirarsi indietro di fronte al dramma dei malati terminali. (…) Né eutanasia, né accanimento."
Il giurista Stefano Canestrari: "Mentre l’eutanasia attiva, anche con il consenso del paziente, è sanzionata pesantemente dal codice penale, il rifiuto delle cure, anche di quelle salvavita, è un diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione."
Laura Palazzani, giurista cattolica: secondo lei la richiesta di Welby "non è un atto eutanasico, nemmeno all’atto della sedazione terminale."
Il bioeticista Demetrio Neri: "Molti medici obiettano che di fronte a un paziente in fin di vita l’obbligo è quello di rianimarlo. Non è così. Se il paziente, lucidamente, aveva chiesto di mettere fine alle cure, sempre per l’art. 34 (del codice deontologico dei medici, che prevede che si possa interrompere l’accanimento terapeutico, ndr), il medico deve tener conto della volontà espressa dal malato prima dello stato di incoscienza."
Cinzia Caporale, Vicepresidente del Comitato di Bioetica: "Premesso che è un imperativo morale assecondare il desiderio di un paziente nelle condizioni di Welby, è vero però che dopo aver staccato la spina il medico, accanto al malato che muore, si trova in una posizione non tutelata oggi da nessuna norma."
Il giurista Lorenzo D’Avack denuncia una "totale assenza di norme che tutelino il medico, e l’uso improprio del termine eutanasia, mentre Welby è la prova di un conclamato accanimento terapeutico."
Il professor Umani Ronchi, anatomopatologo, ricordando il discorso che papa Pio XII fece nel 1957 ai medici rianimatori, afferma che "imporre un trattamento non voluto è sempre e comunque una violenza".
Ora mi chiedo e vi chiedo: se la vita non ci appartiene, se appartiene a Dio, se non abbiamo il diritto di interromperla, abbiamo il diritto di prolungarla contro natura?

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