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mercoledì 10 ottobre 2007

Intervista a un musulmano - 1


firmadati



‘Abd an-Nur, il mio amico musulmano
prima puntata

Ho sempre creduto che, prima di formarsi un’opinione, occorra capire. Che per capire bisogna conoscere.
Così, quando – nei meandri del web – mi sono imbattuto in un musulmano italiano, colto, preparato e moderato, ho deciso di intervistarlo.
Ibrahim ‘Abd an-Nur Gabriele è nato a Milano da genitori non musulmani, ed aderì liberamente alla fede islamica all’età di sedici anni. E’ fidanzato con una ragazza ebrea, che sta trascorrendo un anno di permanenza in un kibbutz israeliano. Lavora come operaio, ed ha recentemente cominciato degli studi di filosofia; per il resto, si definisce sostanzialmente autodidatta.

“L'iscrizione all'università”, mi spiega, “è propedeutica proprio ad una questione di legittimazione intellettuale. In molti casi ed in certi contesti, infatti, è necessario un certificato che giustifichi e "garantisca" il tuo diritto ad interloquire col dibattito pubblico; perciò vorrei ottenere una laurea, per poi specializzarmi presso l'Orientale di Napoli o la Ca' Foscari di Venezia. La migliore alternativa sarebbe un percorso di studi ad Al-Azhar, l'Università islamica del Cairo; in tal caso, dovrò preliminarmente approfondire la mia conoscenza dell'arabo classico, a tutt'oggi rudimentale.

Negli incontri pubblici cui mi è capitato di partecipare, quindi, a tutt'oggi le mie sole "credenziali" sono state perlopiù il puro e semplice "essere musulmano", nonché lo studio e l'attività di testimonianza ad esso connessi, che mi sforzo di coltivare presso alcuni gruppi islamici del milanese.

Ciò su cui mi sforzo di basarmi è la scrupolosa attenzione ai fondamenti della tradizione islamica, ed alla comprensione che essa ha incontrato nel corso della sua storia. Nonostante i contributi anche assai positivi che studi di tipo accademico mi potranno senz'altro fornire, è innanzi tutto il riferimento a tali fondamenti religiosi che rappresenta l'ineliminabile premessa a qualsiasi personale prospettiva od opinione che, a partire da essi, venisse poi a formarsi entro ed a proposito dell'Islam - opinione che, per molti versi, è la stessa tradizione islamica a richiedere, ed anzi a pretendere."


Ecco l’intervista.
D.: Anzitutto, toglici una curiosità. E’ più corretto dire “musulmano”, o “islamico”?R.: Io preferisco di gran lunga "musulmano". E' la traduzione più fedele, almeno ortograficamente, del termine "muslim", che propriamente connota chi professa e pratica l'Islam.
Anche "islamico", tuttavia, ha un senso. Sarebbe corretto, ad esempio, parlare di un comportamento "islamico", qualora esso sia precettisticamente corretto. Parlare di un comportamento "musulmano", invece, registrerebbe un dato di fatto riferito ad una certa persona, più che una tensione normativa esercitata da essa.
Salterà dunque all'occhio la differenza tra uno Stato "musulmano" ed uno Stato "islamico": uno Stato dalla popolazione a maggioranza "anagraficamente" musulmana, il primo; uno Stato che osservi e promuova il modello etico-sociale archetipico della prima comunità musulmana, il secondo. Curiosamente, a buon diritto si potrebbe dire che molti "musulmani" non sono propriamente "islamici", o meglio la loro condotta di vita non riflette esemplarmente una coscienza ed un'abnegazione islamica nei confronti dell'esistenza.
A loro volta, purtroppo, i media parlano invece di "pericolo islamico"; il che appare, come detto sopra, un drammatico paradosso.



D.: Ecco: quindi è diverso essere musulmano, e vivere islamicamente…R.: Proprio com'è diverso, ad esempio, "professare" l'umanità e divinità del Cristo e, poi, dimenticare che "colui che lo ama è colui che ne accoglie i comandamenti e che li osserva" (Gv 14:21).
Nel Corano si parla dei credenti come di "coloro che credono e compiono il bene". Se credi "a parole", ma poi ti comporti in modo egoista, diffamatorio e violento - e dunque contrariamente a tutti i dettami della fede - allora dovrò senz'altro pormi qualche dubbio circa il tuo "credo", sebbene poi sia il Signore l'unico Giudice.

E' in tal senso, comunque, che - sia chi nasce musulmano per tradizione familiare sia chi adotta questo tipo di direzione spirituale in seguito a specifici percorsi di fede - ogni credente è chiamato ad approdare alla propria identità religiosa alla maniera dei profeti, ristabilendo giorno per giorno un patto col Trascendente, piuttosto che considerarlo una stampigliatura sulla carta d'identità o sul certificato di battesimo, e così via.
Ciò si riflette anzitutto in una pratica scrupolosa (ma non ossessiva), in uno studio diligente della lingua sacra e dei Testi rivelati che ad essa fanno riferimento, nonché in un'assidua coltura di un'attitudine critica e di un atteggiamento positivo, nei confronti di sé, della propria tradizione di riferimento, e del contesto sociale e culturale in cui si vive e col quale ci si relaziona.

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