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venerdì 26 ottobre 2007

Intervista a un musulmano - 3



firmadati







‘Abd an-Nur, il mio amico musulmano
terza puntata

D.: Ma quanti Islam esistono?
R.: Un detto del Profeta* riferisce che "le vie verso Dio sono numerose quanto le anime dei figli di Adamo".
Potremmo soffermarci sulle numerose "forme dottrinali" che la sapienza islamica ha assunto nell'arco della sua elaborazione storica: dalla grande distinzione tra sunniti e shi°iti, alle scuole giuridiche che caratterizzano e strutturano questi gruppi al loro interno, fino alle molte "sette" più o meno ortodosse che da essi hanno preso le mosse. Ciò, tuttavia, credo porterebbe l'attenzione più sugli aspetti esteriori della tradizione islamica, che sui suoi princìpi fondamentali.
Questi ci raccontano, piuttosto, di una tolleranza radicale, che dinanzi alle differenze delega a Dio soltanto, Giudice Giusto ed Onnisciente, Misericordiosissimo e Sovrano, la Conoscenza ultima del Bene e del suo allontanamento.

Alcuni intellettuali contemporanei affermano esplicitamente che "l'Islam è ciò che se ne fa", con un'espressione eccessiva, forse, ma fedele, nonché profondamente drammatica.
In linea di principio, l'Islam non contempla una vera e propria "scomunica", per cui si possa dire una volta per tutte "chi è musulmano" e chi "non lo è". Ciò conduce a pareri anche molto discordanti tra diversi giuristi, dai temi della violenza contemporanea fino al diritto di famiglia e così via.

Lo sforzo di qualsiasi credente, dunque, non deve essere quello di imporre un "monopolio della fede", che pretenda di definire criteri assoluti di legittimità confessionale: si tratterebbe di una tendenza "clericale" che genererebbe, a tutt'oggi, ben più conflitti che soluzioni pacifiche.
E’ invece necessario impegnarsi in una paziente opera di testimonianza perseverante, di impegno nel dibattito intellettuale religioso e non, di recupero scrupoloso ed amorevole delle fonti autentiche della fede e della comprensione che se n'è data nel corso dei secoli, e di stretta ed onesta collaborazione con quelle persone "di buona volontà" che impegnano le loro esistenze in vista di quel Fine che le supera e le completa.
Paradossalmente, noi dobbiamo impegnarci, oggi, affinché "gli Islam" esistenti divengano sempre di più, anziché sempre di meno; non per una generica e disordinata "passione per la molteplicità", ma affinché questa torni ad essere un genuino riflesso dell'Unità, anziché essere asservita ad una strisciante omogeneizzazione monolatrica.


D.: Storicamente, l’Islam è stato molto più tollerante del Cristianesimo, fino a un certo momento del Medioevo. Perché oggi sembra, almeno agli occidentali, che la realtà sia diversa?
R.: La società musulmana dell'epoca "aurea" della storia islamica rappresentò a tutti gli effetti una "società mediterranea", multiculturale ante litteram. La profonda tolleranza che la caratterizzava discendeva sia dai princìpi religiosi di cui era un'espressione fedele, sia dal contesto socio-culturale in cui si sviluppò, naturalmente aperto a contaminazioni plurisecolari di varia e disparata provenienza. Non è un caso se la condizione, ad esempio, della popolazione ebraica, e più in generale di molte minoranze, anche cristiane, fu di gran lunga più serena nel Vicino e Medio Oriente musulmano, piuttosto che nell'Europa medievale.

Il brusco mutamento di condizioni che s'è verificato durante l'ultimo secolo incarna una pluralità di cause. La prima e più fondamentale è quella di cui si parlava prima, e cioé la progressiva perdita di una comprensione religiosa genuina. Sarebbe tuttavia sciocco e superficiale pensare di potervi identificare l'unico fattore scatenante. Esso è infatti strettamente irrelato con aspetti meno profondi ma altrettanto determinanti, che ruotano precipuamente attorno alla questione coloniale, a tutt'oggi irrisolta.
Non è infatti possibile comprendere l'evoluzione economica, sociale e politica della regione, né i suoi assetti attuali, prescindendo dalle dinamiche colonialistiche che l'influenzano a vario titolo da circa duecento anni. Esse hanno innescato processi autonomi profondamente invasivi - dalla dipendenza commerciale alla corrosione del tessuto economico tradizionale, che tramite un'industrializzazione forzata, ma perlopiù incompiuta, ha condotto alla dilagante cancrena degli organismi sociali, dalla famiglia ai clan, che trovano a tutt'oggi espressioni politiche deviate in un lessico politico importato, ma non condiviso. La cultura mediorientale ha subìto un vero e proprio shock, che ad una modernizzazione progressiva ha sostituito un'occidentalizzazione brusca, sregolata, alienante. Ciò ha dato adito a reazioni anche molto differenti, da un'adesione incondizionata al "modello Occidente", alla sua indiscriminata demonizzazione. E' invece sulle sfumature che possiamo e dobbiamo scommettere.

Uno degli esempi più drammatici è forse quello che riguarda il rapporto colle minoranze ebraiche.
Esso ha infatti conosciuto uno sconvolgente inasprimento solo a partire dal processo di insediamento di coloni sionisti in Palestina. In precedenza, infatti, la popolazione ebraica era addirittura considerata più "vicina" di quella cristiana, sia per una più spiccata vicinanza teologica, sia per l'assenza di istanze proselitistische destabilizzanti. Gli ebrei poterono sempre insediarsi senza problemi a Gerusalemme - come molti rabbini, anche europei, facevano coll'approsimarsi della vecchiaia - e fino a tutto il dominio ottomano sulla regione vennero concesse senza troppi problemi larghe concessioni territoriali alle comunità ebraiche nella regione, ed a coloro che intendessero immigrarvi.
Fu colla sponsorizzazione britannica dell'immigrazione sionista, che i sentimenti anti-ebraici nel mondo arabo s'acuirono, fino alla creazione dello Stato d'Israele nel 1948 e la cocente sconfitta araba nella Guerra dei Sei Giorni del '67. L'anti-sionismo arabo scorse negli ebrei un agente di infiltrazione coloniale: "altri" in quanto stranieri colonialisti, e non in quanto fedeli alla tradizione ebraica, che invece continuò ad essere esplicitamente considerata come "parte del mondo arabo" fino a tutta la prima metà del '900. Fu solo in seguito che l'anti-sionismo acquisì toni anti-ebraici, anche e soprattutto tramite la diffusione di materiali anti-semiti di origine europea - e, particolare interessante, precipuamente tramite la mediazione di arabi cristiani, che veicolarono il pensiero dominante nei Paesi cristiani con cui erano in contatto.

Ciò non scagiona in alcun modo l'attuale clima di intolleranza che, in modi ed intensità assai differenti tra una regione e l'altra, riguarda il mondo arabo-musulmano. Sarebbe tuttavia sbagliato tacciare questa tendenza di essere radicata in forme innate di intolleranza religiosa od arretratezza culturale; è invece necessario analizzare con attenzione le varie e diverse cause che le sostanno, ed ancora una volta impegnarsi in un'opera di acculturazione che, curiosamente, deve sforzarsi d'essere un recupero ed un rinnovamento, prim'ancora di proporsi - od imporsi - come un progresso od un'innovazione.


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