Visualizzazioni totali

giovedì 3 gennaio 2008

Chi era mio nonno

fotononnoprigionia
UN SOLDATO?

Sì, certo, alla lettera, come del resto 6.000.000 di Italiani di allora (600.000 ci lasciarono le penne, seicentomila, gente!). Ma dentro, no, non era un soldato. Indossò la divisa per dovere. Perché lo costrinsero, ma anche perché si considerava un patriota. Era un socialista, che impedì più tardi a suo figlio di vestire la divisa da Balilla. Era un musicista, cresciuto orfano tra i Salesiani, era divenuto un ottimo cornettista: prima tromba in alcuni teatri lirici dell'epoca. Poi la guerra travolse lui e la sua passione per la musica.

Quando ne aveva voglia, spesso commuovendosi come fanno i vecchi quando si inteneriscono e non sanno trattenere la lacrimuccia, mi raccontava le sue avventure di guerra. Ma al resto della famiglia narrava solo della prigionia. Della prima linea non parlò mai.
Salvo un po' con me, forse perché ero l'ultimo nipote maschio, e tanto gli somigliavo. Ricordo tre-quattro cose.
Una volta gli chiesi: "Nonno, ma quando un soldato è colpito e muore, urla come nei film?" Lui stette in silenzio per un po'. Per un bel po'. Poi disse: "No, di solito non ne ha il tempo." E tacque per il resto della nostra passeggiata.
Un'altra volta mi disse di un tenentino tutto azzimato, appena arrivato al fronte, che al primo assalto si imboscò tremante in una trincea. Quando rientrarono, lo trovarono letteralmente fatto a pezzi da una bomba.

E ancora: durante i primissimi mesi di priogionia gli avvennero due episodi drammatici, che non si ritrovano nel diario (il diario inizia il 1° gennaio del 1917). Nel primo, non ricordo per quale motivo, si adirò con un sottufficiale austriaco, ed ebbe l'ardire di schiaffeggiarlo. Subì per questo la tortura degli anelli: appeso per i polsi legati dietro la schiena, per oltre venti minuti. Solo l'ufficiale medico (austriaco) con le sue vibranti proteste riuscì a interrompere la tortura, e probabilmente a salvargli la vita.

Il secondo episodio: in una marcia di trasferimento (sorvegliata ovviamente!) tra il lager e il luogo di lavoro, a un certo punto si sentì letteralmente morire di fame. Alzando gli occhi, si avvide di essere ai lati di un campo (di patate o cipolle, non saprei dire con precisione). L'istinto di conservazione vinse la paura: si allontanò un momento dalla colonna ed estrasse dal terreno un tubero, prendendo a divorarlo avidamente, ancora sporco di terriccio. Il contadino, vedutolo, si avvicinò con fare ovviamente minaccioso. Per mio nonno il rischio era terribile. In caso di denuncia c'era la fucilazione. Decise sul momento. Estrasse il coltello e uccise il contadino, tenendogli una mano sulla bocca. Alla successiva indagine nessuno fece il suo nome, e tutta la baracca rimase consegnata per molti giorni. Era l'autunno del 1916, e crepavano di fame, frdeddo, e fatica.
Ora che lo avete conosciuto un po'. posso postare - nei prossimi giorni - alcuni brani del suo diario di prigionia.

PS Mio nonno mai più alzò un dito su un altro essere umano.

Nessun commento:

Posta un commento