UNA VETRINA DAL PASSATO
Era il Natale del ’76.
La mia famiglia colpita da improvviso crack finanziario,
passava dalla ricchezza alla miseria e alla precarietà. Avevo diciassette anni,
e ricordo ancora il groppo in gola che mi venne, soffermandomi davanti a una
vetrina in Corso Buenos Ayres, dalla quale occhieggiavano enormi panettoni
vestiti a festa: quelle stesse ghiottonerie che erano state in casa nostra il
normale contorno alle feste sino all’anno precedente, mentre ora dovevamo
risparmiare lira su lira per permetterci uno spumantino con la torta fatta in casa.
Sono passati molti anni, e sono riuscito a ricostruire
qualcosa con mia moglie, e se non la ricchezza abbiamo raggiunto una decorosa
agiatezza.
Ho l’orgoglio di aver sempre pagato le tasse, sino all’ultima
lira, con grave sgomento del mio commercialista il quale, osservando il
fatturato di quest’anno, è sicuro che io abbia fatto del business in nero. E
invece no, si tratta proprio di una crisi di fatturato in questo annus horribilis che finalmente sta per
lasciarci, esausti.
Non solo gli affari vanno male, purtroppo.
Mi sorprendo a pensare che questo dovrebbe essere il secondo
peggior Natale della mia vita, dopo quello del ’76.
Ed è vero, sono meravigliato di non essere totalmente
bloccato dall’angoscia, dalle preoccupazioni.
Invece no, non mi preoccupo. Mi occupo, semmai.
Forse, invecchiando, si diventa più forti.
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